sabato 2 luglio 2011

La Repubblica del Leone

La Repubblica del Leone


Oggetto di ricerca appassionata e di studio in Italia e fuori d'Italia, la storia di Venezia continua a essere ignorata dalla gran massa del pubblico italiano, a rimanere riserva di caccia per gli "addetti ai lavori". Per tutti gli altri, essa rimane, più o meno, fissa agli schemi tenebrosi e denigratori diffusi soprattutto dalla propaganda francese dopo spacciata l'antica Repubblica (un'opera sistematica di diffamazione che doveva costituire un alibi in più per la sopraffazione compiuta, una giustificazione alla quale si associava anche l'Austria che ne aveva tratto i migliori risultati). Alla denigrazione, poi, si è aggiunta una disinformazione sistematica, alla quale l'Italia postrisorgimentale non ha saputo né voluto opporsi, non rendendosi conto del vantaggio che certamente sarebbe derivato allo sviluppo del senso civico e della maturità politica nello Stato unitario da tanti esempi offerti dalla Serenissima in tanti momenti della sua travagliatissima storia. Anzi, anche la storiografia postrisorgimentale "seria" ha spesso preferito attingere, se mai, ai giudizi negativi espressi a suo tempo dagli storici fiorentini e specialmente da Machiavelli, per liquidare disinvoltamente gli oltre mille anni di storia veneziana con affermazioni che, certe volte, hanno rappresentato "cantonate" veramente madornali.

Anche "a grane faraonizzate nell'eternità", per dirla con Carlo Emilio Gadda, Venezia e la sua storia suscitano dunque ancora reazioni passionali, anche nell'austero mondo degli studiosi. È sempre stato così. Ed è una testimonianza di più, se ce ne fosse bisogno, della grandezza di Venezia. Ammirazione sconfinata e odio mortale erano stati, da sempre, il retaggio della Serenissima quand'era viva: il retaggio dei forti.

sabato 30 ottobre 2010

Undici secoli di indipendenza, perché ?

Dalla caduta della Repubblica di Venezia sono passati centottantadue anni. Dall'elezione del primo doge, il mitico Pauluccio Anafesto, milleduecentottantadue. Se, dunque fissiamo la data di quella elezione come il punto di partenza della grande vicenda storica della quale Venezia è stata la protagonista, abbiamo davanti a noi undici secoli interi, per uno solo dei quali, il XVIII, si può veramente parlare di decadenza. E' un record di durata che ben pochi stati del mondo possono pensare di battere; fino a oggi, non l'ha battuto ancora nessuno.

martedì 10 agosto 2010

L'impero veneziano

L'impero veneziano
Anno Mille. Il giorno dell'Ascenscione, un'armata navale veneziano prende il mare. La comanda personalmente il doge, Pietro II Orseolo, e il suo obiettivo è l'opposta sponda adriatica. Sono secoli che le navi veneziano trafficano con quella sponda; ma, questa volta, si tratta di una spedizione militare in grande stile. A Ossero, gli abitanti, latini e slavi, giurano solennemente obbedienza al doge. La scena si ripete a Zara, dove sono convenuti anche i rappresentanti delle isole di Arbe e di Veglia. Sono cerimonie pacifiche e festose, ma, con gli slavi di Dalmazia, le cose vanno diversamente. Il doge costringe con la forza alla sottomissione gli abitanti delle isole di Pasman e di Vergada, cattura, presso l'isola di Cazza, un convoglio di slavi narentani, nemici secolari di Venezia; poi, ancora, espugna l'isola di Curzola, che tenta di resistergli, e quella di Lagosta, asilo di corsari. Di là fa ritorno, ripercorrendo, in trionfo, tutta la costa dalmata. Era un pezzo che Venezia aveva da fare i conti con gli slavi specialmente i narentani, corsari incalliti. Forse è leggenda il ratto delle spose veneziane, avvenuto nel corso di una cerimonia nunziale collettiva a Santa Maria Formosa nel 946 o 948, ma è certo che nel 912 pirati serbi avevano catturato nientemeno che Pietro Badoer, figlio del doge regnante e futuro doge lui stesso, di ritorno da una missione diplomatica in Oriente, e che il doge Pietro I Candiano aveva perso la vita in uno scontro con gli slavi della Narenta nell'887. Anche i saraceni si erano pericolosamente affacciati all'alto Adriatico, ma ne erano stati scacciati ripetutamente e definitivamente. La spedizione del doge Orseolo non è che l'episodio più spettacolare della lunga lotta sostenuta da Venezia per la sicurezza della navigazione nell'Adriatico, passaggio obbligato per i suoi traffici marinari. A essa la tradizione fa risalire la dominazione veneziana sull'Istria e sulla Dalmazia (il doge, da allora, assume il titolodi "duca dei Venetici e di Dalmati"); dominazione contrastata per secoli e, quanto alla Dalmazia, definitiva soltanto dal 1420, dopo interminabili contese, rivolte, scontri e guerre guerreggiate, particolarmente contro i re d'Ungheria, da quando quest'ultimi hanno unito alla propria corona del regno di Croazia. Ma, otto anni prima, nel 992, Pietro II Orseolo aveva registrato un successo di portata ancora maggiore, ottenendo dall'imperatore di Bisanzio una "bolla d'oro" che riconosceva sostanzialmente la preponderanza veneziana nel traffico marittimo tra l'Italia e Costantinopoli e affidava, praticamente, ai veneziani il controllo della navigazione. Di "colonia" veneziana sul Bosforo non si parla ancora, anche se i veneziani moltiplicano gli investimenti patrimoniali su una piazza che, sotto il profilo fiscale, è assai più favorevole a loro che ai loro concorrenti, amalfitani e baresi in testa. Tuttavia i novant'anni che seguono segnano una definitiva affermazione che costituisce la premessa a tutte le fortune future della città lagunare. Ciò che accade, in quei novant'anni, nel bacino del Mediterraneo, pare fatto apposta per favorire gli sviluppi del rapporto privilegiato che lega Venezia, fin dalla sua nascita, con Bisanzio. L'alleaza veneziana ha permesso a Bisanzio di bloccare l'avanzata araba. Dalle brume del calano ora i biondi, giganteschi mormanni: di vittoria in vittoria, l'Italia meridionale è presto tutta nelle loro mani, le loro avanguardie si affacciano alla costa dalmata, la loro cupidigia si appunta sulle terre bizantine.E, nell'inevitabile scontro militare, i veneziani sono al fianco dei bizantini. Il cronista poeta Guglielmo di Puglia, pur celebrando la gloria del suo signore, il normanno Roberto Guiscardo, registra lo sgomento suscitato dall'intervento della "città popolosa, ricca di uomini e di mezzi" e della sua "gente esperta nella guerra navale e coraggiosa", che, in patria, " non può passare di casa in casa se non in barca "e non ha nessuno che le sia superiore nel combattere sul mare. Sulle vicende della guerra regna, nelle cronache una grande confusione. Quello però , che è certo, è che il Guiscardo non riuscì a sconfiggere l'imperatore d'Oriente, e che questi, con una nuova bolla d'oro, emessa nel 1082, oltre ad ampliare le esenzioni fiscali già concesse nel 992, le estendeva a una quantità di porti e di città interne dell'impero, dove i veneziani, da allora in poi, potranno negoziare in piena franchigia doganale. La lista si snocciola dal basso Adriatico al Mediiterraneo, all'Egeo: Durazzo, Valona, Corfù, Modone e Corone all'apice del Peloponneso, Nauplia in fondo al suo golfo, Corinto a cavalcioni dell'istmo, Atene e Tebe, Negroponte, Demetriade nel golfo di Volos, e poi Tessalonica, Crisopoli, Peritheorion in Tracia, fino ad Abido, ad Adrianopoli, a Rodosto, a Selimbria sul Mar di Marmara, fino allo splendore dell'opulenta capitale imperiale. Ma non si ferma tra le cupole e i bazar di Costantinopoli, riparte subito sulla sponda asiatica, lungo le coste dell'Asia Minore, da Focea a Efeso, a Chio, a Strobilo e Antalia, a Tarso, ad Adana, a Mamistra, fino ad Antiochia, fino a Laodicea. Non importa se non tutte queste piazze sono più in mano imperiale: il principio è sancito, e sancita è la disfatta commerciale degli amalfitani, troppo dipendenti dal mondo musulmano per potersi associare a Bisanzio contro gli arabi(e, adesso, assorbiti dagli odiati normanni nel loro regno d'Italia meridionale). La cosa più importante, ai nostri occhi, è un'altra ancora. Il "crisobulo" del 1082 riconosce l'esistenza di un quartiere veneziano in piena Costantinopoli. Ci sono due chiese, quella di San Nicola "de Embulo" e quella di Sant'Acindino, vicino alla quale si conservano i pesi e le misure in base alle quali si comprano e vendono l'olio e il vino, c'è un mulino e c'è un forno, più due botteghe. L'atto di donazione di Sant'Acindino al patriarca di Grado, firmato dal doge Ordelaf Falier nel 1107, descrive pittorescamente la chiesa "cum toto suo thesauro", con i suoi paramenti e i suoi libri, e accenna anche a "ergasteria", o depositi di merci. Sappiamo infatti che i veneziani possiedono moli o scali propri, con magazzini franchi nei quali depositano e vendono le loro mercanzie senza che gli impiegati del fisco bizantino possano mettervi becco.Questo schema di quella che non è ancora una colonia ma, piuttosto, una concessione, chiesa, scali e depositi, mulino, forno e centro pesi e misure, più il pozzo d'acqua dolce e, magari, il frantoio e il bagno pubblico, lo ritroveremo qualche anno dopo, in un'altra area del bacino mediterraneo. Papa Urbano II ha lanciato la crociata, per la riconquista dei luoghi santi di Siria e di Palestina occupati dai musulmani, l'Occidente feudale ha risposto con entusiasmo e, accanto ai cavalieri lorenesi e francesi, si sono subito schierati i normanni, ai quali non par vero di riprendere il loro cammino di conquista verso Oriente. Ci sono anche due repubbliche italiane, Genova e Pisa, che nella santa impresa vedono la possibilità di lucrare grossi guadagni. Venezia, sulle prime, esita: l'imperatore di Bisanzio vede con molta preoccupazione questa spedizione armata che non guarda tanto per il sottile e non fa troppe distinzioni tra ciò che è degli arabi e ciò che è suo, e Venezia, cucita a doppio filo con Bisanzio, vigila, attenta sugli interessi comuni. La prima a farsi avanti, come stato, è Genova, premiata della sua collaborazione alla presa di Antiochia con la donazione di un quartiere con chiesa, piazza e trenta case. Antiochia è, teoricamente, terra bizantina, nella quale l'imperatore ha concesso il privilegio dell'esenzione commerciale ai veneziani. Ma, dopo un violento scontro con la flotta di Pisa, in difesa degli interessi bizantini a Laodicea, si fa avanti anche Venezia, e in cambio del promesso recupero del litorale da Acri a Tripoli, ottiene dal re di Gerusalemme conquistata, Goffredo di Buglione, chiesa, forno, pozzo, fondaco e mercato in ciascuna delle città che verranno prese, più l'intera città di Tripoli, con esenzione da ogni imposta.Il mancato raggiungimento degli obiettivi concordati da parte della squadra navale veneziana manda a monte l'attuazione del patto, ma non lo stabilimento di un diritto. La parte del leone la fanno, dapprima, i genovesi; ma la conquista di Tiro, nel 1124, col concorso determinante dei veneziani, ottiene loro il possesso di un terzo della città, più un terzo della città di Ascalona. E, questa volta , lungo tutta la costa, da una città all'altra, nasce un vero e proprio sistema coloniale. Perché alle strutture fondamentali di protezione dell'attività commerciale si aggiungono, ora, concreti privilegi giurisdizionali. L'origine del sistema coloniale veneziano, dunque, la ritroviamo qui. Ma, per adesso, non è più di quanto hanno ottenuto i genovesi, primi arrivati, per il loro stato e per i loro armatori privati. Anche i pisani sono presenti. E, per quanto estesi divengano e si mantengano per tempo gli interessi veneziani nella sfera siriaco-palestinese, non è qui che si forma il futuro impero della Serenissima.

VENEZIA e BISANZIO

Il centro più vivo e più attivo dell'interesse commerciale veneziano è, più che mai, Costantinopoli. Nella prestigiosa capitale e in tutto il resto dell'impero bizantino, anche se vi sono stati ammessi altri mercanti italiani, le attività veneziane rappresentano la massa più importante di interessi mercantili. La presenza dei concorrenti è causa di malessere e di tensioni, ma sono i rapporti veneto-bizantini che si deteriorano rapidamente. Una crisi scoppia nel 1124, quando l'imperatore Giovanni Comneno si mostra riluttante a rinnovare i privilegi del 1082, e il doge Domenico Michiel, per convincerlo, devasta Rodi, Samo, Lesbo, Modone e Cefalonia, dove stabilisce una base militare che gli permetterà di molestare i territori bizantini fino a quando il monarca non si sarà deciso a rinnovare il decreto. La solidarietà militare tra Venezia e Bisanzio rinasce quasi automaticamente quando il normanno Ruggero II di Sicilia tenta l'assalto all'impero orientale. Ma le relazioni sono ormai avvelenate. I cronisti bizantini Cinnamo e Niceta sono i portavoce di un malumore sempre più diffuso fra i greci. Certo, i veneziani sono gran navigatori, gran marinai: tanto di cappello. Ma anche se si presentano, come difensori o, addiritura, salvatori dell'impero bizantino, come li fanno pagar cari, i loro interventi! Anche l'ultima campagna militare contro i normanni ha procurato loro vantaggi enormi: libertà di commercio in tutto l'impero, con l'esenzione totale da tutti i diritti erariali, anche da quelli, si badi bene, ai quali i bizantini continuano a rimanere soggetti. E fossero, almeno, riconoscenti! Il loro orgoglio, invece, cresce a dismisura, ogni concessione che ottengono li rende ancora più altezzosi e pretenziosi. E poi, hanno letteralmente invaso l'impero, si sono introdotti, sposando donne greche, nelle famiglie e nelle case. Eppure affettano disprezzo per i greci, che sovrastano con le loro grandi ricchezze. In verità, i veneziani sono dappertutto. Sono molte migliaia, nell'impero; nella stessa Costantinopoli sono una quantità, sparpagliati in tutti i quartieri cittadini, giachè il loro "embolo" non è che un quartiere commerciale, nel quale non abitano (ed è lo stesso nelle altre città dove si estendono le proprietà dei cittadini e delle fondazioni religiose di Venezia, soprattutto il patriarcato di Grado, la basilica di San Marco e l'abbazia di San Giorgio Maggiore). Ma non costituiscono vere e proprie "colonie" in nessun luogo: tra i privilegi che fanno indignare Cinnamo e Niceta, non ce n'è nessuno di carattere giurisdizionale. Tra loro, ci sono figure di grande rilievo,come quel Romano Mairano che incarna la larghezza di vedute e il coraggio imprenditoriale dei grandi mercanti-armatori veneziani del medioevo, o come Domenico Mastrocoli e Dobramiro Stagnarioo (quest'ultimo, evidentemente, ha del sangue slavo nelle vene) che vediamo comprare grosse partite d'olio a Corinto. L'olio figura in misura importante negli affari di questi negozianti, che commerciano non solo con l'Occidente, ma anche all'interno dell'impero, fra porto e porto, fra piazza e piazza, ma fra gli articoli che essi esportano da Costantinopoli figura anche, in prima fila, la seta, mentre tra le importazioni vi sono i panni di lana di Venezia, i metalli lavorati, il legname, le armi, ma anche le spezie e il cotone, acquistati in Palestina (i nobili Colomanno Bembo e Marino Michiel, per esempio, ne trafficano assiduamente sul triangolo Venezia-Gerusalemme-Costantinopoli). Poi, le tensioni internazionali e quelle interne giungono a una crisi gravissima. Il rifiuto di Venezia di appoggiare i tentativi di riconquista dell'imperatore Manuel Comneno nel bacino dell'Adriatico fa da detonatore ai rancori e alle invidie. Assicuratosi dell'appoggio genovese, il 12 marzo 1171 Manuele ordina la cattura di tutti i veneziani dell'impero. E' una grande operazione di polizia condotta di sorpresa e con molta abilità, soltanto pochi veneziani riescono a fuggire a bordo di una nave di Romano Mairano, e le prigioni dell'impero non bastano a contenere tutti arrestati. Naturalmente, i beni veneziani sono confiscati tutti. E' un disastro, e la campagna navale subito organizzata per ritorsione si risolve, con la complicità della peste, in un grave insuccesso. Per vari anni, le attività mercantili veneziane dovranno battere altre vie. Ma ride bene chi ride ultimo: quando, nel 1182, regnando Andronico Comneno, la popolazione di Costantinopoli massacra i residenti latini, i veneziani non hanno che rallegrarsi per la sorte che ha colpito i loro concorrenti pisani e genovesi, rimasti in Oriente. Queste sono le premesse all'impresa che, una ventina d'anni dopo, vedrà nascere l' impero coloniale veneziano di Levante. Un accordo stipuilato nel 1198 chiude la partita dei malumori veneto-bizantini e apre ai mercanti lagunari altre piazze, altre rigioni, come Janina nell'Epiro e Kastoria nella Macedonia occidentale, come Skoplje nella Macedonia interna, come Zagoria in Bulgaria, come Filippopoli in Tracia, come le Cicladi, più Creta, Zante e Leucade, più, in Asia, le isole di Samo e Mitilene, Rodi e Cos, più Filadelfia e tutta la Lidia in Asia Minore. E c'è, anche, un risarcimento per i danni provocati dalla confisca operata da Manuele nel 1171. Ma gli affari non sono ritornati prosperi come prima, ci sono ancora difficoltà, diffidenza, preoccupazioni. E Venezia, grazie alla sua accorta politica occidentale, ha visto accresciuta moltissimo la propria importanza nel quadro europeo.

I frutti di un buon contratto

E' a questa importanza politica, messa in grande rilievo dalla intermediazione svolta con successo nella grave contesa che aveva opposto papa Alessandro III all'imperatore Federico Barbarossa, che si deve la visita dei rappresentanti di un gruppo di potentati del mondo feudale, francesi e fiamminghi soprattutto, ma anche tedeschi, alla ricerca di chi trasporti le loro truppe, i loro cavalli, le loro armi e munizioni d'assedio in una nuova spedizione, in una nuova crociata, nata dalla predicazione appassionata e dalla appassionata ambizione di un grande pontefice, Innocenzo III, Lotario dei conti di Segni. Lo scopo della crociata, ovviamente, doveva essere la riconquista del regno di Gerusalemme, perduto in seguito alla vittoria musulmana di Hattin. E, anche se l'arengo, che a detta del cronista Goffredo di Villehardouin, presente alla scena, radunò nella basilica di San Marco, nell'aprile 1201, diecimila veneziani, si lasciò trasportare da un'ondata di entusiasmo mistico e guerriero, quello che il doge Enrico Dandolo aveva stipulato con i rappresentanti dei crociati non era che un contrattodi trasporto, o di passaggio: Venezia avrebbe fornito le navi per trasferire per mare 4500 cavalieri, 4500 cavalli, 9000scudieri e 20.000 fanti, oltre ai viveri necessaria mantenere l'armata per un anno intero; inoltre avrebbe armato a proprie spese cinquanta galere. In cambio, i crociati avrebbero dovuto pagare 85.000 marche d'argento più la metà dei profitti realizzati dalla spedizione. Le navi avrebbero dovuto essere pronte per il 29 giugno 1202 nel porto di Venezia. L'obiettivo della crociata non era preciso nel contratto, ma, a quanto risulta dalla testimonianza di Villehardouin, avrebbe dovuto essere l'Egitto, considerato il cuore della potenza musulmana. E, il 29 giugno 1202, tutto è pronto secondo i patti: le galere, i viveri e quelle navi speciali che si aprono per lo sbarco della cavalleria e che vengono chiamate "uscieri". E' pronta, cioè, la parte di Venezia. Da parte dei crociati manca una quantità di gente, principi e baroni che hanno preferito marciare a piedi o percorrere altre vie, e una quantità di danaro, almeno 34.000 marche d'argento. Che fare? Dopo varie consultazioni, il vertice dei crociati approva la proposta di Enrico Dandolo: in cambio della somma non versata, essi aiuteranno Venezia a recuperare la città di Zara che si è ribellata e si è data al re d'Ungheria. Il fatto che Zara e il re d'Ungheria fossero cristiani non sembrò ai baroni crociati una buona ragione per rifiutare, nè al legato papale, cardinale Pietro Capuano, per opporsi. Soltanto Innocenzo III andò sulle furie e scomunicò i veneziani. Ma a tutti sembrava che la modesta deviazione richiesta valesse la pena, pur che la crociata potesse mettersi finalmente in moto. Ma, durante la sosta a Zara, avvenne qualcosa di assai più grave. Già nel tragitto dalle loro sedi verso Venezia i crociati avevano avuto occasione di incontrare il principe bizantino Alessio, figlio dell'imperatore Isacco Angelo, detronizzato e incarcerato dal fratello Alessio III, regnante in quel momento a Bisanzio. Il principe aveva chiesto il loro appoggio per riconquistare il trono, per il padre e per sè, e i principali capi crociati non avevano declinato apertamente l'offerta. Venezia non ne sapeva proprio nulla: stava faticosamente cercando di migliorare, a vantaggio del proprio commercio, i rapporti con Alessio III. Adesso, a Zara, gli inviati del giovane pretendente e di suo cognato, il potente principe tedesco Filippo di Svevia, avanzavano proposte concrete: in cambio dell'appoggio alla restaurazione, duecentomila marche d'argento in contanti, l'unione della Chiesa greco-ortodossa con la Chiesa romana, e un contingente di diecimila uomini per la lotta contro i musulmani. Erano i primi giorni di gennaio del 1203.



martedì 3 agosto 2010

Le famiglie del Patriziato Veneziano

Famiglie ancora esistenti (1979)

Avogadro
Casata feudale bresciana, ascritta al Maggior Consiglio nel 1438 per meriti verso la Repubblica.
Badoer
Forse la più antica; discendente dai Parteciaci, o Partecipazi, che ebbero sette dogi, tra i quali Agnello, eletto dopo l'invasione dei franchi e il trasporto della capitale nelle isole che formano la Venezia odierna, nell'anno 810. Otto procuratori di San Marco, un cardinale.
Baglioni
Famiglia di industriali della stampa, aggregata nel 1716.
Balbi
Famiglia "rimasta" nel Maggior Consiglio nel 1297.
Barbaro
Illustre casata che ha dato, tra altri personaggi illustri, l'umanista e politico Marc'Antonio, e il fratello Francesco, patriarca di Aquileia, antrambi mecenati del Palladio e del Veronese.
Barozzi
Casa "vecchia", delle dodici "Apostoliche", ebbe un patriarca di Grado e tenne in feudo l'isola di Santorino, nelle Cicladi.
Bembo
Casa "vecchia" di origine tribunizia; ebbe un doge, Giovanni, valoroso ammiraglio (m. 1618) e, tra altri illustri, il famoso cardinale Pietro umanista e poeta.
Bon
Ascritta al patriziato prima del 1297, ebbe diplomatici e due procuratori di San Marco.
Bonlini
Famiglia bresciana, ascritta, in due rami, nel 1667 e nel 1685.
Bragadin
Delle case "vecchie", si attribuiva il doge Orso Ipato, di casato sconosciuto (m.737). Otto procuratori di San Marco, un cardinale e molti altri personaggi importanti nella vita della Repubblica, tra i quali Marc'Antonio, l'eroico difensore di Famagusta contro i turchi nel 1572.
Brandolini
Famiglia romagnola di condottieri di genti d'arme, ascritta al patriziato nel 1686.
Buzzaccarini
Nobile famiglia padovana, ascritta nel 1782
Caiselli
Nobile famiglia di Udine, ascritta nel 1779.
Canal o Da Canal
Delle case "nuove", ebbe due capitani generali "da mar", quattro procuratori di San Marco e uno dei più insigni cronisti medievali, Martino, che scrisse in lingua d'oil la sua cronaca nel secolo XIII.
Cappello
Casa "nuova", ebbe dieci procuratori di San Marco e molti ambasciatori e capitani generali "da mar", Bianca Cappello fu granduchessa di Toscana (1578-1587).
Carminati
Bergamasca, aggregata nel 1687.
Cicogna
Delle case "novissime", aggregate nel 1381 per meriti nella guerra contro Genova, ebbe il doge Pasquale, morto in fama di santità nel 1595.
Civran
Casa "nuova" "rimasta" nel 1297.
Collalto
Grande famiglia feudale della Marca Trevigiana, ascritta al patriziato per meriti verso la Repubblica già dal 1306. Ebbe una beata e molti condottieri di fama.
Condulmer
Famiglia patrizia dal 1381. Due cardinali, uno dei quali eletto papa col nome di Eugenio IV nel 1431.
Corner
Casa delle più antiche di Venezia, di probabile origine romana, ebbe quattro dogi, ventidue procuratori di San Marco, nove cardinali, molti generali e ambasciatori. Caterina, moglie di re Giacomo II di Lusignano, re di Cipro, fece dono del regno alla Repubblica nel 1489.
Correr
Casa "nuova", ebbe sette procuratori di San Marco e due cardinali, uno dei quali papa col nome di Gregorio XII nel 1406. Nel secolo scorso il N.H.Teodoro Correr fondò il museo civico di Venezia che tuttora ne porta il nome.
Dolfin
Casa "vecchia" delle più illustri, ebbe un doge, quattordici procuratori di San Marco, sei cardinali e una quantità di personaggi distintisi in ogni settore della vita veneziana.
Donà
Casa "nuova", divisa in due grandi linee, una delle quali detta "dalle rose" per i fiori araldiciche figuravano nel suo stemma. Tre dogi, uno dei quali, Leonardo,fu una delle più grandi figure della storia veneziana, otto procuratori di San Marco, un cardinale e molti uomini di rilievo anche nel campo della cultura.
Dondi dall'Orologio
Antica famiglia padovana aggregata al Maggior Consiglio nel 1653.
Emo
Casa "nuova", diede molti importanti uomini politici e il famoso ammiraglio Angelo, comandante dell'ultima impresa navale della Repubblica nel 1784-86.
Foscari
Tra le prime che figurino nei documenti veneziani, è celebre soprattutto per il doge Francesco, anima dell'espansione veneziana in terraferma, costretto ad abdicare nel 1457, e per le infelici vicende del figlio del doge, Jacopo, che hanno fornito a Byron materia poetica e musicale a Giuseppe Verdi. Non fa più parte del patriziato dalla fine del XVIII secolo, a causa di un matrimonio non approvato dagli avogadori di Comun, ma porta il titolo comitale, già conferitole dalla Repubblica. Ricca fino ai nostri giorni di personaggi illustri, ha fatto costruire il magnifico palazzo gotico sul Canal Grande che è ora sede dell'università veneziana e la villa della Malcontenta, del Palladio.
Foscolo
Illustre per il procuratore Leonardo valoroso capitano generale "da mar", ebbe nel medioevo in feudo l'isola di Nanfio nelle Cicladi.
Gherardini
Casata veronese di origine fiorentina, ascritta al patriziato nel 1652.
Gradenigo
Una delle più antiche e importanti famiglie, coinvolta fin dalle origini di Venezia in tutti gli avvenimenti capitali. Ebbe tre dogi, uno dei quali Pietro, fu l'autore della "serrata" del Maggior Consiglio nel 1297; quattordici procuratori, due cardinali e una quantità di personaggi di rilievo in campo diplomatico e militare.
Grimani
Una delle più insigni case "nuove"; tre dogi, ventuno procuratori, tre cardinali, importanti diplomatici e ammiragli. Celebre la collezione archeologica del cardinale Domenico, patriarca di Aquileia, che, donandola alla Repubblica, ne fece il nucleo del Museo Archeologico Marciano.
Loredan
Un'altra delle grandi case "nuove"; tre dogi, dodici procuratori di San Marco, e numerosi generali "da mar". Il doge Leonardo (m.1521) fu l'anima della resistenza al tempo della lega di Cambrai. Costruì il magnifico palazzo, poi Vendramin Calergi, sul Canal Grande.
Manin
Di origine fiorentina, poi importante in Friuli, ascritta al Maggior Consiglio nel 1651. Diede l'ultimo doge, Lodovico, l'unico uscito da una casata entrata nel patriziato per l'offerta di centomila ducati per le necessità della guerra contro il Turco.
Marcello
Casa "nuova", di probabilissima origine romana, ha avuto un doge e sei procuratori, e molti valorosi ammiragli, fra i quali Lorenzo, caduto nel tentativo di forzare i Dardanelli nel 1656.
Benedetto è tra i maggiori musicisti del XVIII secolo.
Marin
Antica famiglia, illustrata particolarmente dall'erudito Carlo Antonio, storico del commercio veneziano.
Memmo
Antichissima casa "vecchia", delle dodici "apostoliche", ebbe un doge, Marcantonio, eletto nel 1612; probabilmente le appartiene anche ildoge Tribuno Menio, deposto nel 991. Annovera cinque procuratori di San Marco, tra i quali Andrea, diplomatico distinto, amico di Giacomo Casanova.
Minio
Buona casata "rimasta" nel 1297, ebbe senatori, ambasciatori e rettori di città.
Minotto
Casa "vecchia", ebbe diversi uomini illustri, Giovanni, bailo a Costantinopoli, perì nella difesa della città contro i turchi nel 1453.
Moro
Casa "nuova"; un doge e sei procuratori di San Marco.
Morosini
Antichissima casa, delle dodici "apostoliche", sempre illustre dalle origini alla fine della Repubblica. Quattro dogi, ventisette procuratori di San Marco, due cardinali. Nel X secolo, i Morosini, partigiani di una politica filobizantina, e i Coloprini, fautori del ravvicinamento al Sacro Romano Impero Germanico, costituivano le due fazioni cittadine.
Mosto (Da)
Casa "nuova" le appartenne, oltre a molti soggetti illustri, il celebre navigatore Alvise da Ca'da Mosto. In questo secolo la illustrò Andrea, storico dei dogi e insigne paleografo.
Nani
Casa "novissima", ascritta nel 1381, ebbe sei procuratori di San Marco. Si ricorda particolarmente Battista, diplomatico e storico del XVII secolo.
Orio
Casa antichissima, era proprietaria di parte del terreno sul quale, nel XII secolo, sorse l'attuale quartiera Rialto.
Pasqualigo
Un ramo entrato in Maggior Consiglio nel 1297, un altro nel 1381; tre procuratori di San Marco, vari ammiragli e ambasciatori.
Persico
Da Bergamo, ascritta nel 1685.
Pizzamano
Casa "nuova". Le apparteneva Domenico, difensore del porto di Venezia contro i francesi nel 1797.
Priuli
Delle più insigni case "nuove", ebbe tre dogi, quattordici procuratori di San Marco e cinque cardinali.
Querini
Casa "vecchia", faceva risalire le proprie origini ai dogi Maurizio e Giovanni (764-804) ai quali la tradizione veneziana attribuiva il cognome di Galbaio. Legata ininterrottamente alle vicende della Repubblica fino alla fine, fu l'anima della congiura del 1310. Ebbe quindici procuratori di San Marco e un cardinale; Giovanni, ultimo del ramo che aveva avuto in feudo l'isola di Stampalia nel Dodecanneso, istituì nel 1878 una benemerita fondazione di cultura, ancora esistente.
Redetti
Da Rovigo, aggregata al Maggior Consiglio nel 1698.
Renier
Aggregata nel 1381, ebbe tre procuratori e il penultimo doge, Paolo (m.1789). Giustina moglie di Marcantonio Michiel, fu nel secolo scorso, erudita scrittrice e brillante polemista.
Romieri
Agregata nel 1689.
Sandi
Da Feltre, ascritta nel 1685, Vettor fu storico insigne nel XVIII secolo.
Soranzo
Casa "vecchia", ebbe un doge e sedici procuratori di San Marco.
Spatafora
Casata feudale siciliana aggragata già nel 1409, si trasferì in parte a Venezia partecipando alla vita politica.
Tiepolo
Delle dodici case "apostoliche" e una delle più illustri e potenti; ebbe due dogi e sette procuratori di San Marco. Baiamonte, detto "il gran cavaliere" , capeggiò la rivolta del 1310.
Trevisan
Una linea "rimasta" nel 1297, una aggregata nel 1381, una ascritta al Libro d'oro nel 1689.
un doge e dieci procuratori di San Marco.
Valier
Casa "vecchia", secondo alcuni delle dodici case "apostoliche", di indubbia origine romana, ebbe due dogi e due cardinali.
Van Axel
Famiglia di facoltosi mercanti fiamminghi aggregata nel 1665.
Venier
Un'altra delle grandi case "nuove"; ventun procuratori di San Marco e tre dogi, tra i quali Sebastiano, il vincitore della battaglia di Lepanto.
Zorzi
Casa "vecchia", ebbe un doge, undici procuratori di San Marco, un cardinale, e i feudi di Curzola in Dalmazia, Badonizza, Lampsaco e Caristo in Grecia, e Santa Maura nelle Jonie.

Alcune delle principali famiglie estinte
Barbarigo
Una delle case "nuove" più importanti. due dogi, dieci procuratori, quattro cardinali, uno dei quali, Gregorio, vescovo di Padova, canonizzato da papa Giovanni XXIII,
Barbo
Quattro procuratori e un cardinale, divenuto poi papa col nome di Paolo II.
Bernardo
Casa "nuova", ebbe quattro procuratori e costruì due notevoli palazzi gotici, uno dei quali sul Canal Grande.
Cavalli
Casa "nuovissima", illustre per tre famnosi ambasciatori, Jacopo, Marino, e Sgismondo, e per un Jacopo valoroso generale.
Celsi
Due procuratori e un doge, Lorenzo (m.1365)
Contarini
Delle dodici case "apostoliche" e una delle più importanti in ogni momento della storia veneta. Ebbe ben otto dogi e quarantaquattro procuratori di San Marco, Gasparo, diplomatico e cardinale, fu uno dei precursori della riforma della Chiesa cattolica
Dandolo
Una delle più nobili casate d'Europa. Quattro dogi, fra i quali Enrico, conquistatore di Costantinopoli e leader della quarta crociata, e Andrea, cronista e letterato, amico del Petrarca.
Ebbe anche dodici procuratori e un patriarca di Grado.
Diedo
Casa "nuova"; tre procuratori di San Marco e molti personaggi distinti.
Duodo
Casa "nuova"; quattro procuratori di San Marco.
Erizzo
Casa "nuova"; un doge, quattro procuratori. Paolo difese Negroponte contro i turchi, Niccolò Guido fu tra i pochi politici capaci e coraggiosi nelle ultime vicende della Repubblica.
Falier
Antichissima casa (delle dodici "apostoliche") e di probabile origine romana. Tre dogi, tra i quali Marino, decapitato nel 1355 per aver tentato di farsi signore di Venezia. Cinque procuratori, un patriarca di Grado.
Foscarini
Casa "vecchia", un doge (Marco, letterato di merito, m.17639, quattordici procuratori, vari generali, diplomatici e uomini politici.
Gritti
Casa "nuova", ebbe il doge Andrea, già generale vittorioso nelle battaglie contro i collegati di Cambrai, immortalato da un famoso ritratto di Tiziano.
Labia
Famiglia patrizia nel 1646, celebre per il magnifico palazzo affrescato da Giambattista Tiepolo e per il detto =l'abia o no l'abia sarò sempre Labia= pronunciato, si dice, da un Labia nel gettare dalla finestra un piatto d'oro.
Lando
Un doge, quattro procuratori e diversi prelati illustri.
Lezze (Da)
Famiglia di diplomatici e militari, ebbe sette procuratori di San Marco.
Malipiero
Casa "nuova", ebbe un doge e tre procuratori di San Marco.
Michiel
Un'altra delle antichissime casa, insigne per tre dogi, dodici procuratori di San Marco, un cardinale e una quantità di personaggi politicie militari. Marcantonio si comportò con virile fermezza negli ultimi mesi della Repubblica.
Mocenigo
Grandissima casa "nuova", ebbe ben sette dogi, venticinque procuratori, e - tra molti altri - i valorosi ammiragli Alvise Leonardo e Lazzaro, eroi delle guerre contro il Turco. Estinta di recente.
Molin (Da)
Un doge, nove procuratori di San Marco, e molti politici, generali e mercanti fortunati.
Navagero
Famosa per Andrea, diplomatico e poeta, e per il cardinale Bernardo.
Orseolo
Illustre dinastia che diede i dogi Pietro I (successivamente monaco camaldolese e santo),
Pietro II, conquistatore dell'Istria e della Dalmazia, e Ottone, nonchè Orso, patriarca di Grado e reggente del ducato. Era strettamente imparentata con la famiglia imperiale bizantina e con quella di santo Stefano, re d'Ungheria. Definitivamente estinta nel secolo XIV.
Paruta
Casa "nuovissima", generò Pietro, storico e procuratore di San Marco.
Pesaro
Un doge, sette procuratori, e il superbo palazzo sul Canal Grande, capolavoro di Baldassarre Longhena.
Pisani
Ricca casata di mercanti e banchieri, diede anche diplomatici e condottieri tra i quali Vettor Pisani, eroe nazionale e comandante supremo contro Genova nella guerra di Chioggia.Sedici procuratori di San Marco e un doge, Alvise che fece costruire la grandissima villa di Stra.
Polani
Casa "apostolica", ebbe un doge, Pietro (m.1148).
Polo
Celebre per i viaggiatori Niccolò, Matteo e Marco, autore, quest'ultimo del "Livre des merveilles du monde" universalmente conosciuto come il Milione.
Ponte (Da)
Diede il doge Nicolò, finissimo diplomatico (m.1585) e tre procuratori di San Marco.
Rezzonico
Comasca, aggregata al Maggior Consiglio nel 1687, ebbe due cardinali, uno dei quali papa col nome di Clemente XIII (1758-1769) e due procuratori di San Marco.
Ruzzini
Casa "vecchia", ebbe due procuratori e il doge Carlo, diplomatico tra i più avveduti (m.1735).
Sagredo
Gherardo, già abate di San Giorgio Maggiore, evangelizzò l'Ungheria, mori martire nel 1047 e fu successivamente canonizzato. La famiglia ebbe anche un doge e sette procuratori, tra i quali Giovanni, storico e letterato. Nel secolo scorso, Agostino fu illustre studioso di cose veneziane.
Sanudo
Antichissima casa, si vantava di discendere dai Candiani, che avevano dato cinque dogi tra il IX e il X secolo. Marco, nipote del doge Enrico Dandolo, conquistò per sè il ducato di Naxos nelle Cicladi, Marino il vecchio, detto Torsello, fu mercante, scrittore e geografo; Marino il giovane, a cavallo tra il XV e il XVI secolo, redasse i monumentali "Diarii" capolavoro della cronistica rinascimentale.
Steno
Tre procuratori e un doge, Michiele, primo a sostenere l'opportunità dell'espansione in terraferma (m.1413).
Tron
Un doge e sette procuratori di San Marco, uno dei quali, Andrea, "savio del Consiglio", esercitò poteri vastissimi nella Venezia della metà del Settecento.
Vendramin
Casa "novissima", di grandi ricchezze, ebbe un doge, Andrea (m.1478), tre procuratori di San Marco e un cardinale.
Zane
Antichissima e molto ricca, ebbe cinque procuratori di San Marco.
Zeno
Casa "vecchia", estinta recentissimamente quanto ai maschi, tra le più attive in ogni momento della storia di Venezia. Un doge, tredici procuratori, il cardinale Giovanni Battista, la cui arca si ammira nella basilica di San Marco, i navigatori Nicolò, Antonio e Catterino, e Carlo, eroe nazionale nelle guerre medievali contro Genova.
Zustinian (o Giustinian)
Casa "vecchia" delle più grandi, estinta di recente, ebbe un doge, ventisette procuratori e una folla di personaggi insigni, tra i quali primeggiano san Lorenzo, patriarca di Venezia, il più squisito dei poeti veneziani. Angelo Lorenzo, provveditore a Treviso nel 1797, tenne testa coragiosamente a Napoleone Bonaparte.
Princiapali famiglie non veneziane ascritta al patriziato in tempi diversi
In vari momenti furono ascritte al "Libro d'oro" famiglie regnanti europee come i Barbone di Francia i Barbone di Parma, i Wittelsbach di Baviera, i duchi di Brunswick; famiglie di potentati italiani, tra le quali casa Savoia, gli Estensi duchi di Ferrara e poi di Modena, i Gonzaga, marchesi e poi duchi di Mantova, i Medici di Firenze, poi granduchi di Toscana, i Cybo Malaspina, marchesi di Massa, i Pico della Mirandola, i Pio da Carpi, gli Sforza, duchi di Milano, i Pallavicino, marchesi del cosidetto " Stato Pallavicino". L'onore fu esteso talvolta a famiglie in possesso di signorie del Veneto, come i Carraresi, signori di Padova, egli Scaligeri di Verona, nonchè a condottieri fedeli alla Repubblica. Frequentemente furono ascritte le famiglie dei papi. Eccone la lista: Albani, Aldobrandini, Altieri, Barberini, Boncopagni, Borghese, Chigi, Colonna, Conti, Corsini, Ludovisi, Odescalchi, Orsini, Pamphili, Pignatelli, Rospoli e Savelli. Nessuna di queste famiglie prese mai parte attiva ai lavori parlamentari del Maggior Consiglio. Fanno eccezione i Bentivoglio d'Aragona, ramo estinto della casata che aveva avuto la signoria di Bologna e i Pepolo, pure bolognesi.

lunedì 2 agosto 2010

I Dogi di Venezia la " Dominante "

I Dogi di Venezia


Secondo l'elenco tradizionale la serie dei Dogi veneziani comprende centoventi nomi dal Paulaccio Anafesto (o meglio Paulicius), che sarebbe stato eletto nel 697, a Lodovico Manin, testimone della fine della Serenissima. Sulla scorta della critica storica si sono ricordati, intercalandoli alla numerazione tradizionale, anche i magistri militum che ressero la città dal 737 al 742; il tribuno Caroso; il governo del patriarca Orso (1031-1032); Domenico Orseolo ch3e fu deposto dopo un giorno; la prima elezione, rifiutata di Orio Mastropiero (1172); Jacopo Tiepolo, secondo i cronisti acclamato dal popolo e fuggito (1289); nonchè Giovanni Sacredo, la cui nomina si considerò non avvenuta (1676). I nomi indicati tra parentesi sono quelli attribuiti ad alcuni dogi, senza particolare fondamento, dalla tradizione veneziana.


1. Paulicius (Paoluccio Anafesto) 697-717

2. Marcellus (Marcello Tegaliano) 717-726

3. Ursus (Orso Ipato) 726-737

Magistri Militum: Leo; Felix Cornicula; Deusdedit; Jubianus Ypatus; Johannes Fabrisus 737-

742

4. Deusdedit Ypatus (Diodato Ipato) 742-755

5. Galla Gaulo 755-756

6. Dominicus Monegarius (Domenico Monegario) 756-764

7. Mauricius (Maurizio Galbaio) 764-787

8. Johannes (Giovanni Galbaio) 787-804

9. Obilerius e Beatus 804-811

10. Agnellus Particiacus (Agnello Participazio) 811-827

11. Justinianus Particiacus (Giustiniano Partecipazio) 827-829

12. Johannes Particiacus (Giovanni I Partecipazio) 829-836

Rivolta del tribuno Caroso

13. Petrus (Pietro Tradonico) 836-864

14. Ursus Particiacus (Orso I Partecipazio) 864-881

15. Johannes Particiacus (Giovanni II Partecipazio) 881-887

16. Petrus Candianus (Pietro I Candiano) 887

17. Petrus Tribunus (Pietro Tribuno) 888-911

18. Ursus Particiacus (Orso II Partecipazio) 911-932

19. Pietro II Candiano 932-939

20. Petrus Badoer (Pietro Partecipazio detto Badoer) 939-942

21. Pietro III Candiano 942-959

22. Pietro IV Candiano 959-976

23. Pietro I Orseolo 976-978

24. Vitale Candiano 978-979

25. Tribuno Menio (Memmo) 979-991

26. Pietro II Orseolo 991-1009

27. Ottone Orseolo 1009-1026

28. Pietro Centranico 1026-1031

Orso Orseolo, patriarca di Grado 1031-1032

Domenico Orseolo 1032 (doge per un solo giorno)

29. Domenico Flabianico 1032-1042/43

30. Domenico Contarini 1042/43-1071

31. Domenico Silvio (Selvo) 1071-1084

32. Vitale Falier 1084-1096

33. Vitale I Michiel 1096-1102

34. Ordelaf Falier 1102-1118

35. Domenico Michiel 118-1130

36. Pietro Polani 1130-1148

37. Domenico Morosini 1148-1156

38. Vitale II Michiel 1156-1172

Orio Mastropietro (eletto nel 1172 non accettò la carica, che accettò invece sei anni

più tardi)

39. Sebastiano Ziani 1172-1178

40. Orio Mastropiero 1178-1192

41. Enrico Dandolo 1192-1205

42.Pietro Ziani 5 agosto 1205-3 marzo 1229

43. Jacopo Tiepolo 6 marco 1229-20 maggio 1249

44. Marino Morosini 13 giugno 1249-1 gennaio 1253

45. Ranieri Zeno 25 gennaio 1253-7 luglio 1268

46. Lorenzo Tiepolo 23 luglio 1268-15 agosto 1275

47. Jacopo Contarini 6 settembre 1275-6 marzo 1280

48. Giovanni Dandolo 25 marzo 1280-2 movembre 1289

Jacopo Tiepolo (acclamato dal popolo nel 1289, fuggì)

49. Pietro Gradenigo 25 novembre 1289-13 agosto 1311

50. Marino Zorzi 23 agosto 1311-3 luglio 1312

51. Giovanni Soranzo 13 luglio 1312-31 dicembre 1328

52. Francesco Dandolo 4 gennaio 1329-31 ottobre 1339

53. Bartolomeo Gradenigo 7 novembre 1339-28 dicembre 1342

54. Andrea Dandolo 4 gennaio 1343-7 settembre 1354

55. Marino Falier 11 settembre 1354-17 aprile 1355

56. Giovanni Gradenigo 21 aprile 1355-8 agosto 1356

57. Giovanni Dolfin 13 agosto 1356-12 luglio 1361

58. Lorenzo Celsi 16 luglio 1361-18 luglio 1365

59. Marco Corner 21 luglio 1365-13 gennaio 1368

60. Andrea Contarini 20 gennaio 1368-5 giugno 1382

61. Michele Morosini 10 giugno-15 ottobre 1382

62. Antonio Venier 21 ottobre 1382-23 novembre 1400

63. Michele Steno 1 dicembre 1400-26 dicembre 1413

64. Tommaso Mocenico 7 gennaio 1414-4 aprile 1423

65. Francesco Foscari 15 aprile 1423-23 ottobre 1457

66. Pasquale Malipiero 30 ottobre 1457-5 maggio 1462

67. Cristoforo Moro 12 maggio 1462-9 novembre 1471

68. Nicolò Tron 23 novembre 1471-28 luglio 1473

69. Nicolò Marcello 13 agosto 1473-1 dicembre 1474

70. Pietro Mocenigo 14 dicembre 1474-23 febbraio 1476

71. Andrea Vendramin 5 marzo 1476-6 maggio 1478

72. Giovanni Mocenigo 18 maggio 1478-4 novembre 1485

73. Marco Barbarigo 19 novembre 1485-14 agosto 1486

74. Agostino Barbarigo 30 agosto 1486-20 settembre 1501

75. Leonardo Loredan 2 ottobre 1501-22 giugno 1521

76. Antonio Grimani 6 luglio 1521-7 maggio 1523

77. Andrea Gritti 20 maggio 1523 -28 dicembre 1538

78. Pietro Lando 19 gennaio 1539-9 novembre 1545

79. Francesco Donà 24 novembre 1545-23 maggio 1553

80. Marcantonio Trevisan 4 giugno 1553-31 maggio 1554

81. Francesco Venier 11 giugno 1554-2 giugno 1556

82. Lorenzo Priuli 14 giugno 1556-17 agosto 1559

83. Girolamo Priuli 1 settembre 1559-4 novembre 1567

84. Pietro Loredan 26 novembre 1567-3 maggio 1570

85. Alvise I Mocenigo 11 maggio 1570-4 giugno 1577

86. Sebastiano Venier 11 giugno 1577-3 marzo 1578

87. Nicolò da Ponte 11 marzo 1578-30 luglio 1585

88. Pasquale Cicogna 18 agosto 1585-2 aprile 1595

89. Marino Grimani 26 aprile 1595-25 dicembre 1605

90. Leonardo Donà dalle Rose 10 gennaio 1606-16 luglio 1612

91. Marcantonio Memmo 24 luglio 1612-29 ottobre 1615

92. Giovanni Bembo 2 dicembre 1615-16 marzo 1618

93. Nicolò Donà 5 aprile - 9 maggio 1618

94. Antonio Priuli 17 maggio 1618-12 agosto 1623

95. Francesco Contarini 8 settembre 1623-6 dicembre 1624

96. Giovanni I Corner 4 gennaio 1625-23 dicembre 1629

97. Nicolò Contarini 18 gennaio 1630-2 aprile 1631

98. Francesco Erizzo 10 aprile 1631-3 gennaio 1646

99. Francesco Molin 20 gennaio 1646-27 febbraio 1655

100. Carlo Contarini 27 marzo 1655-30 aprile 1656

101. Francesco Corner 17 maggio - 5 giugno 1656

102. Bertuccio (Alberto) Valier 15 giugno 1656-29 marzo 1658

103. Giovanni Pesaro 8 aprile 1658-30 settembre 1659

104. Domenico Contarini 16 ottobre 1659-26 gennaio 1675

105. Nicolò Sagredo 6 febbraio 1675-14 agosto 1676

Giovanni Sagredo (la sue nomina si considerò non avvenuta)

106. Alvise Contarini 26 agosto 1676-15 gennaio 1684

107. Marcantonio Giustinian 26 gennaio 1684-23 marzo 1688

108. Francesco Morosini 3 aprile 1688-6 gennaio 1694

109. Silvestro Valier 25 febbraio 1694-5 luglio 1700

110. Alvise II Mocenigo 16 luglio 1700-6 maggio 1709

111. Giovanni II Corner 22 maggio 1709-12 agosto 1722

112. Alvise III Mocenigo 24 agosto 1722-21 maggio 1732

113. Carlo Ruzzini 2 giugno 1732-5 gennaio 1735

114. Alvise Pisani 17 gennaio 1735-17 giugno 1741

115. Pietro Grimani 17 giugno 1741-7 marzo 1752

116. Francesco Loredan 18 marzo 1752-19 maggio 1762

117. Marco Foscarini 31 maggio 1762-31 marzo 1763

118. Alvise IV Mocenigo 19 aprile 1763-31 dicembre 1778

119. Paolo Renier 14 gennaio 1779-13 febbraio 1789

120. Lodovico Manin 9 marzo 1789-12 maggio 1797

sabato 27 ottobre 2007

Una Citta Una Repubblica Un Impero


Una Citta
Una Repubblica
Un Impero
Venezia 697 – 1797

Di Alvise Zorzi veneziano

La storia di Venezia, come entità politica autonoma, comincia in un qualche momento, non facilmente precisabile, dell’alto medioevo, dopo la dissoluzione dell’impero romano d’Occidente e si prolunga con caratteri originalissimi per almeno undici secoli fino all’epoca napoleonica.
Località periferica del sistema bizantino, Venezia fu dapprima sede di mercature e attività nautiche lagunari e fluviali verso la pianura padana e punto di distribuzione del commercio proveniente dall’Oriente . In seguito, dopo il 1000, accentuando la sua funzione di tramite mercantile tra Oriente e Occidente divenne una grande potenza navale mediterranea, giungendo con la conquista di Costantinopoli (1204) al predominio in Levante. Quale cittàstato, elaborò un sistema di reggimento repubblicano che la portò a primeggiare anche nella penisola italiana, cui erano volti solo in parte i suoi interessi, con la conquista di un vasto dominio di terraferma (principio del XV secolo).Quando, nell’età moderna, l’ascesa delle grandi monarchie trasformò i termini della politica internazionale, concellando le entità medievali, riuscì a sopravvivere, pur premuta da oriente dall’impero ottomano, e dal lato europeo successivamente dalla Spagna e dall’Austria degliAsburgo, con l’abilità diplomatica e ricavando prosperità, oltre che dal commercio, opportunamente riorientato rispetto alle nuovecondizioni (apertura delle rotte commerciali oceaniche), anche dallo sviluppo della manifattura.Estremamente complessa, la sua storia, più mediterranea che italiana, si intreccia con le vicende della penisola balcanica, dell’Europa danubiana, del Levante, dell’Islam, non meno che con quelle dell’impero germanico, della Chiesa, delle repubbliche marinare tirreniche, delle potenze dell’Europa occidentale. Se ne riassumono qui le vicende principali.

Le origini:
Battellieri, pescatori e salinari sembrano essere stati nel VI secolo, secondo una lettera di Cassiodoro (537- 538) che li esorta e rifornire Ravenna, gli abitanti delle lagune. Hanno le case “come uccelli acquaticiora sul mare, ora sulla terra “ e la loro principale ricchezza è il sale poichè ancora ha da nascere chi non desidera il sale”. Altra gente fu spinta a riparare nella laguna dopo l’ingresso in Italia dei longobardi (568) e la progressiva occupazione della provincia romana (bizantina) della Venetria, alla fine ridotta alla sola laguna da Cavarzere sino a Grado. Nel 639, caduto il capoluogo, Oderzo, anche la sede del governatore bizantino fu spostata in laguna, a Cittanova (detta, dall’imperatore Eraclio, Eracliana o Eraclea). Degli stessi anni è l’iscrizione celebrativa della fondazione della chiesa di Santa Maria in Torcelloin cui si nominano l’imperatore Eraclio,l’esarca della diocesi italiana con sede a Ravenna, Isarco, e il governatore locale Maurizio, La Venetia è un lembo dell’impero romano-bizantino.

Il primo doge: 697
La storiografia veneziana, assertrice della indipendenza originaria da Bisanzio, fissa al 697 l’elezione del primo doge (duca): Paoluccio Anafesto o, meglio, Paulicius. La critica storica (Roberto Cessi) ritiene che questi, in realtà,sia lo stesso esarca di Ravenna, Paolo.

Ribellione e riconciliazione: 727 – 740
Papa Gregorio II si oppose all’estensione all’Italia dell’editto di distruzione delle immagini sacre (iconoclastia), emanato dall’imperatore bizantino Leone III isaurico (727), e gli eserciti dell’Italia bizantina proclamarono propri duchi: nella Venetia questi è forse Orso (terzo doge della serie tradizionale). Ma la crisi è poi superata e quando il re longobardo Liutprando conquista Ravenna (740) l’esarca ripara in laguna e, con i “venetici”, riconquista la sua capitale.

Da Cittanova a Malamocco: 742
Particolare il dominio bizantino in Italia, torbida e poco decifrabile la vita politica interna del ducato, si ha nel 742, con un rivolgimento di governo, il trasferimento della sede ducale da Cittanova a Malamocco, La vita del ducato dei venetici, proprietari fondiari, mercanti, marinai, coltivatori, continua nelle difficili condizioni del tempo, non gravemente turbata nemmeno dalla caduta definitiva di Ravenna esarcale (751) in mano longobarda.


L’assalto di Pipino e le isole Realtine: 810
Un sostanziale mutamento della situazione politica italiana si era avuto sul finire dell’VIII secolo con la conquista franca del regno longobardo e con l’incoronazione imperiale in Roma (800) di Carlomagno, che l’imperatore romano di Bisanzio non vuole riconoscere. Il figlio di Carlomagno, Pipino re d’Italia, attacca la Dalmazia e la laguna, di sovranità almeno nominale bizantina e di tradizione e cultura romano-bizantine. Ma Pipino viene malamente sconfitto in laguna dai venetici (810). Intanto dagli insediamenti lagunari vi era stato un largo trasferimento di profughi sulle isole Realtine, difese dal castello di Olivolo. Su queste isole si trasferisce il ducato con l’elezione di Agnello Parteciaco o Partecipazio. E’ nata la citta di Venezia. La pax Nicefori, tra i due imperi (814), assicura l’integrità territoriale del ducato, sulla laguna da Grado sino a Chioggia.

Il corpo dell’evangelista Marco: 828
Due mercanti veneziani, Rustico da Torcello e Buono Tribuno da Malamocco, trafugano ad Alessandria d’Egitto il corpo dell’evangelista Marco e lo trasportano in patria (828). La reliquia viene collocata nella cappella del “palatium” del doge e si inizia la costruzione della prima basilica (829), consacrata nell’832 sotto il doge Giovanni Parteciaco. Si forma la leggenda che Marco, approdato nella laguna, vi avrebbe avuto in sogno dell’angelo la premonizione della sua finale dimora (Pax tibi Marce, evangeliste meus). L’anno prima, nella sinodo di Mantova, il patriarca di Aquileia, Massenzio, di parte imperiale d’Occidente, aveva ottenuto la decisione, più tardi revoca, della soppressione del patriarcato lagunare di Grado. La traslazione del corpo di San Marco, la sua collocazione nella cappella del doge e la leggenda della predestinazione hanno significato politico,affermando simbolicamente l’indipendenza della chiesa e della comunità veneziana sia dell’impero d’Occidente, cui apparteneva Aquileia, sia dall’impero d’Oriente, sia da Roma stessa, collegando la città a un santo del cristianesimo originario, nè bizantino, nè romano.

Pactum Lotarii: 840
Il documento emanante dall’autorità imperiale (Lotario) per esaudimento di una richiesta del duca veneziano (il doge Pietro) rinnova il trattato franco-bizantino di reciproca intengibilità territoriale dell’814. Significativo che il contraente sia Venezia, ormai autonoma, e non Bisanzio e altrettanto significativo che, nel patto, alla marina Veneta sia affidata – assente quella bizantina, inesistente una marina imperiale – la difesa marittima, con implicito riconoscimento di un diritto di controllo dell’Adriatico.

Il saccheggio di Comacchio: 866
Città bizantina al margine del mondo imperiale, Venezia divenne il crocevia del commercio che proveniva da Costantinopoli e dal centro lagunare si irradiava verso l’interno, risalendo i fiumi. In questa funzione aveva potenzialità anche Comacchio (i porti già romani dell’alto Adriatico, Aquileia e Ravenna, erano decaduti) agevolata dalla posizione nel controllo del Po. Nell’866 i veneziani la tolsero di mezzo attaccandola e saccheggiandola, ripetendo l’operazione, aggravata dalla deportazione degli abitanti, nel 932 sotto il doge Pietro II Candiano.

Il ratto delle spose: 946 o 948
Lo sviluppo delle attività marittime veneziane nell’Adriatico (commercio delle merci preziose orientali provenienti da Costantinopoli e destinate nell’entroterra, ma anche commercio di derrate fondamentali quale sale, pesce, legname e schiavi) urta ben presto contro la pirateria slava: inartentani, così chiamati perche il principale nido di pirati era alle foci della Narenta (Neretva). Il rapporto con i narentani, come quello che si sviluppò con Bisanzio e anche con i turchi, fu duplice: di guerra (un doge, Pietro I Candiano, morì in uno scontro con i narentani, 887) e di commercio. I narentani erano anche mercanti di schiavi che i veneziani compravano e rivendevano. Ricorda la pericolosità dei pirati della Narenta, nella tradizione veneziana, l’episodio, quasi certamente leggendario (946 o 948), del ratto delle spose in una cerimonia di nozze collettiva in Santa Maria Formosa.

Incendio e rivolta: 976
Il doge Pietro IV Candiano viene assassinato dal popolo in rivolta, mentre l’incendio distrugge il palatium, la basilica di San Marco, la chiesa di San Teodoro e oltre trecento case per lo più di legno. Nella chiesa di San Pietro di Castello il popolo elegge poi doge Pietro I orseolo. L’episodio è interpretabile come conseguenza della politica del Candiano, volta a conquiste in terraferma, per la quale erano state assoldate milizie straniere, e sentita come oppressiva oltre che snaturante la vocazione marittima e mercantile della città.

Dux Dalmatinorum: 1000
Si legge a proposito dei veneziani in un documento della fine del X secolo: “questa gente non ara, non semina, non vendemmia, ma trae risorse di grano e di vino in ogni porto del regno e nel mercato di Pavia”. La constatazione di questo osservatore, in cui si indovina la sorpresa per una prosperità non direttamente legata alla terra e all’agricoltura, ben si accorda con le direttrici della politica veneziana, esemplificate dal dogato di Pietro II Orseolo. Da un lato intesa pacifica con l’impero ottoniano a garanzia dei transiti commerciali fluviali sul Po, Adige, Piave e Livenza, per i quali affluiva alla terraferma il sale dell’estuario che Venezia era sul punto di monopolizzare; dall’altro energia militare per il controllo delle rotte nell’Adriatico, via di comunicazione col Levante. Nelò giorno dell’Ascensione dell’anno 1000 parte la spedizione marittima per la Dalmazia: Pietro II Orseolo riceve l’omaggio dei dalmati a Ossero, Veglia, Arbe, Zara; da Zara combatte i croati,a Spalato costringe a patti anche i narentani cui toglie il possesso di Curzola e Lagosta. Così, allontanati gli slavi dal mare e posta sotto laprotezione di Venezia la costa dalmato-bizantina, assume il titolo onorifico di dux Dalmatinorum.

I primi consiglieri ducali: 1032
Un movimento rivoluzionario rovesciando gli Orseolo porta al dogato Domenico Flabianico.
Insieme si eleggono per la prima volta due consiglieri ducali (uno per la parte di qua e uno per la parte di là del Canal Grande). Atto tendente a impedire un governo di tipo monarchico quale si era verificato con i Candiano e con gli Orseolo, è anticipatore di una tendenza alla limitazione del potere del doge, che saà sempre più accentuata.

La nuova basilica di San Marco
La chiesa eratta dai Parteciaci era andata gravemente danneggiata nella rivolta del 976 ed era stata restaurata (difficile stabilire in che misura) da Pietro I Orseolo. La chiesa attuale fu costruita nella seconda metà del secolo XI, essendo stata fondata dal doge Domenico Contarini (1042-1071), nella forma della basilica degli Apostoli di Costantinopoli: come dice una notizia coeva “consimili constructione artificiosa illi ecclesie, que in honorem duodecim apostolorum Costantinopolis est constructa” (simile nell’ingegnosa costruzione alla chiesa costruita a Costantinopoli in onore dei dodici apostoli).

In aiuto di Bisanzio: 1081
Il normanno Roberto il Guiscardo, impadronitosi dei porti pugliesi di Bari, Brindisi e Otranto, attaca l’impero bizantino sulla sponda orientale adriatica. L’imperatore Alessio I Comneno chiede l’aiuto di Venezia, che è sollecitata a darlo per i suoi vitali interessi nel transito adriatico e nei commerci a Costantinopoli. Nel 1081 una flotta veneziana compare di fronte a Durazzo assediata dal Giuscardo e sconfigge la squadra normanna, comandata dal figlio di lui, Boemondo. I normanni presero ugualmente Durazzo, nè furono risolutivi gli interventi veneziani nelle acque di Corfù (1083, 1084, 1085); l’azione veneta comunque ritardò l’offensiva dei normanni e nel 1085 Roberto mori. Nel 1082 i veneziani avevano ottenuto da Alessio I Comneno un crisobulo (bolla d’oro) che ampliava le esenzioni doganali già concesse a Costantinopoli ai veneziani nel 992, le estendeva a molti scali dell’impero e riconosceva il quartiere veneziano nella capitale bizantina.

Le reliquie di San Nicolò: 1099-1100
Soltanto nel 1099 una squadra veneziana mosse alla crociata, portandosi a Rodi per svernare. Qui sopraggiunsero navi pisane con lo stesso scopo. Vi fu battaglia tra le navi delle due repubbliche marinare. Sconfitti e presi prigionieri, i pisani furono liberati dopo essersi impegnati a non comparire più nelle acque della Romania (l’impero di Bisanzio). La squadra veneziana lasciò Rodi alla fine di maggio 1100, a Mira (Asia Minore) furono trafugate le reliquie di San Nicolò, patrono dei marinai;a Giaffa e veniziani si accordarono con Goffredo di Buglione per aiutarlo nell’estendere il controllo crociato sulla costa a prezzo di una colonia (con chiesa, piazza, mercato, libertà di trffico, esenzioni fiscali) in ogni città conquistata. Fu presa solo Haifa, e la flotta ritornò a Venezias prima della fine dell’anno.

L’Arsenale: 1104
L’Arsenale descritto da Dante, dove “bolle l’inverno la tenace pece” fu fondato nel 1104, doge Ordelaf Falier. Magazzino d’armi, attrezzature marittimee rifornimenti, sede del raddobbo, e base protetta non occupava che una piccola parte dell’arsenale attuale. Al tempo di Dante, nel primo quarto del XIV secolo, vi fu il primo ampliamento, che quadruplicava la superficie difesa da mura, e l’Arsenale divenne anche luogo di costruzioni navali, anche se cantieri continuarono a essere sparsi per la città e le isole lagunari. Ulteriori ampliamenti dell’Arsenale ebbero luogo nel Rinascimento e oltre.

La crociera di Domenico Michiel: 1122-1124
Quando nell’avanzata primavera del 1123 una forte flotta veneziana al comando del doge Domenico Michiel, mossasi da Venezia l’anno prima, comparve a Giaffa, il ventennio trascorso dalla precedente impresa in Levante aveva lasciato eredità negative: sulle città dalmate perdute e riprese, stava stabilendo la sua autorità il re d’Ungheria (il precedente doge Ordelaf Falier era morto assassinato presso Zara); l’imperatore bizantino Giovanni Comneno aveva rifiutato (1118) di riconoscere i previlegi accordati ai veneziani dai suoi predecessori. Da Giaffa si era appena ritirata una flotta egiziana assediante, i veneziani la inseguirono. La attirarono in combattimento e la sconfissero nelle acque di Ascalona (30 maggio 1123); poi spintisi a sud catturarono mercantili carichi di spezie e preziosi. Infine presero parte all’assedio crociato di Tiro, che cadde il 7 luglio 1124, ottenendovi i consueti privilegi. La squadra veneziana sulla via del ritorno saccheggio i porti bizantini in Egeo e Adriatico, forma di pressione che non fu estranea al ripristin (1126) delle concessioni fatte da Alessio I Comneno nel 1082.

Consilium Sapientium: 1143
Si ha notizia a partire da questa data di un nuovo organo da poco istituito “ per l’onore e per l’utile e la salvezza della nostra patria”, il Consiglio dei Savi o Consilium Sapientium, forse di 35 membri, come si sa che sarà poi al principio del XIII secolo. Tale organo, che deliberava sotto la presidenza del doge, è il primo nucleo del successivo Maggior Consiglio.

“Totius Istriae dominator”: 1145-1153
Il rapporto tra Venezia e l’Istria, consolidato al tempo di Pietro II Orseolo ma amcora più antico (vi era stata una dedizione di Capodistria nel 932 al termine della guerra economica attuata dai veneziani per angherie subite), era un rapporto di protezione con obblighi di difesa militare marittima. Una serie di accordi (con Pola e Capodistria, 1145; Pola, Rovigno, Parenzo, Umango tra il 1148 e il 1153) trasformava la protezione in sottomissione con obbligo di fidelitas e riconoscimento del dominio esteso alla terraferma. Il doge era riconosciuto come “totius Istriae dominator”.

La crisi con l’impero d’Oriente: 1171
Il predominio commerciale dei veneziani a Costantinopoli e nell’impero d’Oriente , dove erano altrettanto pesantemente presenti anche i genovesi e i pisani, predominio in cui , con l’alterna vicenda dei rapporti diplomatici, si inscrivono le azioni predatorie e i saccheggi anche come mezzo di pressione per rinnovare o estendere privilegi, suscitava l’acredine greca e degenerava in aperta crisi nel 1171 quando Manuele Comneno distrusse il quartiere dei genovesi e disperse la colonia veneziana arrestando i residenti e confiscando i beni.

L’uccisione del doge Vitale II Michiel e
l’elezione di Sebastiano Ziani: 1172
Di fronte all’ostilità dell’imperatore Manuele Comneno, Venezia scelse l’azione di forza e il doge Vitale II Michiel andò con una squadra nell’Egeo, ritornandone con gli equipaggi decimati dalla peste e senza nulla aver concluso. Rivoltosi, mossi dal sospetto di tradimento, dispersero il Consiglio dei Savi, r inseguirono il doge uccidendolo nei pressi di San Zaccaria. A successore fu eletto l’uomo più ricco di Venezia, Sebastiano Ziani, usando per la prima volta una procedura indiretta con designazione da parte di undici elettori, precedente alla ratifica assembleare, embrione del complesso e ben noto metodo misto di elezione e sorteggio in uso negli ultimi secoli.

Il papa, l’imperatore e il doge:
il congresso di Venezia del 1177
“Sicura per tutti, e fertile e abbondante d’ogni cosa e desiderabile, e la gente quieta e amante della pace “, Venezia nel 1177 poteva far da sede e testimonio dell’incontro in San Marco, ricevuti dal doge Sebastiano Ziani, del papa Alessandro III e dell’imperatore Federico I Barbarossa, che chiudeva, precedendo le stipulazioni della pace di Costanza. Le lotte tra i comuni dell’Italia settentrionale e la Chiesa, da un lato, e l’impero svevo, dall’altro. Si attribuisce tradizionalmente, in quest’occasione ad Alessandro III il dono dell’anello usato nella cerimonia detta poi dello 2sposalizio del mare”, che già esisteva da tempo.

I sei consiglieri ducali: 1178
All’elezione del doge Orio Mastropiero (1178) si perfeziona (designazione di undici incaricati a eleggere quaranta elettori del doge) la procedura istituita nel 1172 e si procede all’istituzione dei sei consiglieri ducali sulla base dei sei sestieri cittadini.

La quarta parte e mezzo dell’impero
Di Romania: 1201-1204
Nel 1198 era stato fatto un accordo con l’imperatore bizantino, ma la soluzione delle tensioni in oriente doveva avvenire imprevedibilmente e in modo molto favorevole oer Venezia con le vicende della quarta crociata. La crociata fu decisa dal conte Champagne e da altri gran signori feudali di Francia; messi dei crociati, guidati da Geoffroi de Villehardouin, stipularono il contratto di trasporto con Venezia (aprile 1201) per oltre 33.000 uomini e una somma enorme, pari a ventimila chili di argento. Nella primavera del 1202 le navi erano pronte, ma nè i crociati erano quanti dovevano essere, nè le clausole finanziarie del trasporto totalmente onorate. Il doge Enrico Dandolo concesse che il saldo del debito avvenisse con i proventi del futuro bottino; strada facendo, chiese inoltre ai crociati di aiutare i veneziani a riprendere Zara, che si era ribellata con l’appoggio della corona ungherese. Nell’inverno, per sollecitazione del pretendente Alessio (figlio di Isacco II, detronizzato dal fratello Alessio III) che voleva essere restaurato sul trono bizantino usurpanto dallo zio, ma, sembra , senza che (come correttamente si dice)Venezia esercitasse pressione in tale senso, fu deciso di attaccare Costantinopoli. Va ricordato che il capo dei crociati, morto il conte di Champagne, era il marchese Bonifaciodi Monferrato, amico di Filippo di Svevia, suo signore feudale e imparentato per matrimoniocon alessio. Si pensa che con costoro Alessio avesse preso accordi precedentemente, mentre Venezia aveva avviato, invece, approci diplomatici con Alessio III. Comunque, nelluiglio 1203, i crociati attaccarono Costantinipoli da terra, ma furono respinti; i veneziani, animati da Enrico Dandolo, nonagenario e cieco, assalirono le mura dalle navi entrate nel Corno d’Oro e presero la citta. Il nuovo imperatore Alessio (IV) non era gradito ai greci e il suo potere risultò debolissimo; nè era gradita la presenza crociato-veneziana; alfine si proclamò imperatore Alessio (V) Ducas Murzuflo, col programma di liberare l’impero dal tirannoe dallo straniero. Di fronte al pericolo di rimanere schiacciati nella metrolpoli insorta, crociati e veneziani assaltarono una seconda volta Costantinopoli (aprile 1204) che, presa, fu saccheggiata per tre giorni. Con un nuovo contratto l’impero latino d’Oriente: l’imperatore fu scelto da un consiglio di sei veneziani e sei baroni, poichè Bonifacio di Monferrato era un vecchio alleato dei genovesi,cloccarono i loro voti sul conte di Fiandra, Baldovino, che fu eletto. All’imperatore fu attribuito un quarto dell’impero, i restanti tre quarti erano da dividere, metà ai baroni e metà a Venezia, per cui il doge divenne “signore della quarta parte e mezzo dell’impero”. La divisione fu confusa; caduto l’impero, chiunque poteva cercò di prendere quel che gli riusciva; del resto i veneziani erano più interessati alle basi commerciali e marittime che ai territori. Comunque le loro prede principali furono, oltre aitre ottavi della città di Costantinopoli, Negroponte (Eubea), le basi diModone (Peloponneso) e infine Candia (Creta) di cui si impadronì dapprima il pirata genovese Enrico il Pescatore, conte di Malta (1207), e che dovette essere conquistata (1207-1212). Un nipote del doge Dandolo, Marco Sanudo, organizzò nelle isole dell’Egeo il ducato diNaxos, feudo dell’impero.

La quarantia: 1220 circa
Nei primi decenni del XIII secolo compare nell’ordinamento veneziano un nuovo consiglio, quello dei Quaranta o Quarantia, eletto analogamente al Consiglio dei savi (poi Maggior Consiglio) che era a quel tempo di trentacinque membri, con la generica formula “ pro proficuo et utilitatis Comunis Venice “. In seguito i membri della Quarantia, i titolari delle singole magistrature e degli uffici furono assorbiti come membri di diritto nel Maggior Consiglio, la cui parte elettiva (il Consiglio dei savi) fu resa più numerosa. Si arrivo così alla situazione su cui operarono le leggi del 1297, la cosidetta “serrata”. Come consiglio a sè, la Quarantia si specializzò nelle funzioni giudiziarie.

Il controllo del Po: 1240
Nel 1240 il signore di Ferrara si schierò con l’imperatore svevo Federico II. I veneziani, sollecitati dal papa, mandarono una squadra navale all’assedio della città, che fu presa anche perchè all’interno vi fu un pronunciamento cittadino a favore degli Este. I veneziani conclusero con i nuovi signori di Ferrara un trattato col quale acquisivano il controllo del commercio della città col mare: tutte le mercanzie che giungessero a Ferrara dall’Adriatico dovevano passare dal porto veneziano. La costruzione del castello di Marcamò, alla foce del Po di Primaro (1258), dava lo strumento stabile per l’esercizio di questo diritto, che significava il controllo della importante via di penetrazione commerciale nella pianura padana, costituita dal Po.

Il Pregadi. 1255
Del Consiglio dei Rogati, ovvero dei Pregadi, cioè di “pregati”, “richiesti” di fornire il loro avviso e la loro opera, chiamato anche nella prassi politica veneziana semplicemente Pregadi o, classicamente, Senato, si ha sicura notizia a partire dal 1255. Si ritiene sia stato istituito con funzioni specifiche per le materie relative alla navigazione, oltre a particolari questioni di politica internazionale. Poteva essere riunito separatamente o congiuntamente al Maggior Consiglio, del quale faceva parte di diritto. In seguito, allargatosi numericamente il Maggior Consiglio, il Senato, eletto dal Maggior Consiglio stesso, assunse le più alte funzioni di governo.

Il codice marittimo: 1255
Nel 1255 il doge Ranieri Zeno promulgò un codice del diritto marittimo (i primi statuti risalivano al 1242, doge Jacopo Tiepolo). Esso regolava i rapporti dell’impresa marittima, gli obblighi degli armatori, uno dei quali come “patrono” era di fatto il capitano della nave, i diritti dell’equipaggio, marinai e mercanti-marinai (con diritto di commercio in proprio) e stabiliva le date dei contratti e delle partenze delle “mude” (convogli marittimi).

I pilastri di San Giovanni d’Acri;
la prima guerra con Genova:1257-1270
Ad Acri, dove, come a Tiro, le posizioni dei genovesi non erano meno forti di quelle dei veneziani, si verificò una serie di incidenti sanguinosi tra cittadini delle due repubbliche marinare. Nel 1257 la flotta commerciale veneziana del Levante fu accompagnata da una squadra da guerra al comando di Lorenzo Tiepolo, figlio del doge. I veneziani ruppero la catena con la quale era stato sbarrato il porto e incendiarono le navi genovesi. Nell’anno successivo comparve una grossa squadra genovese; anche il Tiepolo aveva ricevuto rinforzi e la grande battaglia navale che ne seguì (Acri, 1258) si risolse con una pesante sconfitta genovese. Perduta metà delle navi i superstiti di mare e di terra si ritirarono a Tiro. I veneziani tornarono in patria con i pilastri acritani che si vedono ora di fronte al fianco meridionale di San Marco. Era cominciato il confronto militare con Genova, che si concluse solo dopo quattro guerre, oltre un secolo più tardi. Qualche anno dopo Acri, i veneziani subirono un rovescio nel loro maggior centro di potere coloniale: l’imperatore bizantino Michele Paleologo, alleatosi con i genovesi (trattato di Ninfeo, 1261), prese Costantinopoli (luglio 1261) ponendo fine all’impero latino d’Oriente. La guerra marittima constò di una serie di azioni di disturbo al traffico marittimo veneziano che dovette adottare il sistema dispendioso dei convogli scortati e pesò sul commercio dei veneziani espulsi da Costantinopoli, dove il Paleologo aveva concesso ai genovesi il sobborgo di Pera. Tuttavia i veneziani vinsero i due principali scontri navali: nel 1263 la battaglia dei Settepozzi, nel 1266 quella di Trapani. Nel 1268 benchè i veneziani fossero ancora in guerra con i suoi amici genovesi, il Paleologo li riammise a Costantinopoli e nel 1270 vi fu la pace, cui Genova fu costretta più che convinta da Luigi IX di Francia, che aveva bisogno della flotta genovese per la sua infausta crociata.

Messer Milion: i Polo in Estremo Oriente (1261-1295)
Nello stesso anno in cui il Paleologo prendeva Costantinopoli (1261), due mercanti veneziani, i fratelli Nicolò e Matteo Polo, che avevano interessi commerciali a Soldaia (Crimea), si mossero per sondare le possibilità commerciali dell’interno, dopo la nuova situazione creatasi in Asia con la costruzione del dominio mongolo. Attraverso Sarai sul Volga e Buchara, impossibilitati a raggiungere Tabriz in Persia, che era loro meta, percorsa l’Asia centrale visitarono Kubilai, il gran khan dei mongoli, che li rimandò in Occidente con un’ambasciata per il papa, essendo i mongoli interessati all’intesa con i cristiani in funzione antimusulmana. Nel 1271, accingendosi a ritornate dall’imperatore mongolo, furono accompagnati da due frati, mandati dal papa, che però interuppero ben presto il viaggio per paura, e dal figlio Nicolò, il celebre Marco Polo. Percorsero l’itinerario per Laiazzo, porto cristiano della Piccola Armenia che divenne importante come terminale delle carovaniere asiatiche dopo che i mamelucchi avevano conquistato la Siria, Tabriz in Persia, il Pamir e le oasi dell’Asia centrale (la storica “via della seta”) e arrivarono a Pechino. Marco ebbe occasione di viaggiare molto nei domini estremo-orientali dei mongoli, anche per missioni ufficiali, spingendosi fino a Birmania (1285). I tre veneziani tornarono in patria ventiquattro anni dopo la partenza (1295), per la rotta marittima della stretto di Malacca e dell’Oceano Indiano, accompagnando una principessa mongola promessa sposa in Persia, e poi per la Persia e Trebisonda sul Mar Nero. Marco fu poi catturato in uno scontro navale con i genovesi e, prigioniero, dettò a un altro prigioniero, il letterato pisano Rustichello, il famoso “Milione”, tanto meraviglioso e discusso, quanto sostanzialmente veritiero: Morendo (1324) il Polo avrebbe detto: “Non scripsi medietatem e hiis que vidi”, non ho scriotto nemmeno la metà di ciò che ho visto.

Il Quarantaun: 1268
Viene messa a punto la procedura di elezione del doge da parte del Maggior Consiglio, con dieci passaggi alternatamente di elezione e di sorteggio culminante nella scelta dei quarantuno elettori (il Quarantaun) che designavano il doge. Usata per la prima volta per l’elezione di Lorenzo Tiepolo (1268) restò poi immutata.

Il ducato d’oro veneziano: 1284
Genova e Firenze (1252) erano state le prime città occidentali a coniare monete d’oro, perchè tale metallo affluiva principalmente tramite i mercati dell’Africa settentrionale. Venezia usava le sue monete d’argento o la moneta d’oro coniata a Bisanzio. Nel 1284 si cominciò a coniare il ducato d’oro, più tardi detto zecchino, dello stesso titolo e peso del fiorino di Firenze (gr. 3,55 allo 0,997 di fino) chew venne mantenuto inlterato sino alla caduta della Rpubblica.

La seconda guerra con Genova. 1294-1299
La rivalità tra le due repubbliche marinare italiane, intensa ora soprattutto per i traffici nel Mar Nero, non era stata placata dalla tregua del 1270 e vi fu una nuova guerra. Furono questa volta i genovesi a cercare (evincere) i grandi scontri navali, preferendo al contrario i veneziani i profitti di preda della guerra di corsa.Vi fu una prima vittoria genovese nelle acque di Laiazzo (1294) il più importante porto per le merci asiatiche dopo la caduta delle posizioni crociate, poi un’incursione veneziana a Pera e, infine, Lamba Doria entrò con ottanta navi nell’Adriatico a devastare la costa dalmata. Ne seguì la grande battaglia di Curzola (1298) che i genovesi vinsero, ma con perdite tali da non poter inseguire il nemico e portare l’offesa alle lagune. La pace del 1299 riconosceva in sostanza il primato genovese sulla riviera ligure che Venezia aveva insidiato alleandosi con Francesco Grimaldi, capo dei guelfi genovesi insignoritosi di Monaco (1297), e quello veneziano sull’Adriatico. La rivalità in Oriente restava irrisolta.

La cosidetta “serrata” del Maggior Consiglio: 1297
La riforma attuata sotto il dogado di Pietro Gradenigo, stabiliva l’ammissione al Maggior Consiglio di tutti coloro che ne erano membri o lo erano stati negli ultimi quattro anni, previa l’approvazione della Quarantia con almeno dodici voti. Nuove candidature dovevano avere analoga approvazione. Il numero degli appartenenti al Maggior Consiglio fu così più che raddoppiato superando il migliaio. In seguito le norme per l’ammissione divennero più restrittive: il quorum per l’approvazione fu alzato prima a 25 poi a 30 voti della Quarantia. Nel 1323 l’appartenenza al Maggior Consiglio divenne permanente ed ereditaria in via definitiva. Commentava Bartolo di Sassoferrato “ sono pochi rispetto all’intera popolazione, molti rispetto a quanti dominano in altre città e quindi il popolo accetta di buon animo di essere governato”.

La guerra di Ferrara e l’interdetto: 1308-1313
Il principio fondamentale della signoria veneziana del Golfo (l’Adriatico) risiedeva nel far passare tutte le merci dall’emporio di Venezia.Navi di tutti i paesi potevano andare a Venezia, mercanti di ogni città commerciavi, ma tutto doveva avvenire nel mercato lagunare: le merci dei mercanti dalmati, zaratini o ragusei, dirette alla pianura padana, per esempio, dovevano essere scaricate a Venezia. Il castello veneziano di Marcamò sul delta padano costringeva il commercio della Romagna diretto alla Lombardia a passare per Venezia. Nel 1308 i veneziani videro l’occasione di rinsaldare il controllo sulla via fluviale del Po impadronendosi di Ferrara. Inserendosi in una in una contesa interna di successione, inviarono truppe a una delle parti, da ciu si fecero consegnare Castel Tedaldo, fortezza che dominava il ponte sul Po. Reagì, da Avignone, il papa, che aveva la sovranità della città, comminando a Venezia l’interdetto, mentre quanti si sentivano danneggiati dal predominio mercantile veneziano si collegavano depredando i mercanti veneziani e conquistando Castel Tedaldo. Venezia trattò con Verona progettando una via d’acqua tra Adige e Po che permettesse di raggiungere il Po dall’Adriatico a monte di Ferrara. Anche per questo l’interdetto alla fine fu tolto (1313).

La congiura di Baiamonte Tiepolo
e il Consiglio dei Dieci: 1310
Sostenitore della politica di espansione a Ferrara, che aveva portato alla guerra con il papa, era il doge Pietro Gradenigo, altre famiglie vi si opponevano. Questo è lo sfondo della fallita congiura del 1310, i cui capi furono Marco Querini, Baiamonte Tiepolo e Badoero Badoer. Tre gruppi di armati, quelli del Querrini per la calle dei Fabbri, quelli del Tiepolo dalle Mercerie, quelli del Badoer per la laguna, avrebbero dovuto attaccare il Palazzo Ducale. Il doge Gradenigo, informato della cospirazione, convocò nella notte le famiglie su cui poteva contare, mise in allarme l’Arsenale e ordinò al podestà di Chioggia di fermare il Badoer. Per questi apprestamenti e per la mancata sincronia del loro assalto, i ribelli furono sconfitti. Morto il Querini, ad altri fu consentito l’esilio; i palazzi dei Querini e dei Tiepolo furono rasi al suolo. Il pericolo era però stato grande, e perdurava per l’attività possibile dei fuorusciti e la loro possibilità di trovare alleanze, come avvenuto e avveniva in quel tempo nelle lotte cittadine. Per prevenire tali eventualità e vigilare a che non si ordissero nuove congiure, fu istituito il Consiglio dei Dieci, i cui membri duravano in carica un anno ed erano presieduti a turno per un mese da tre capi elettivi. Dapprima provvisorio, tale organo, capace per l’esiguo numero dei membri di azioni rapide, fu reso permanente nel 1335.

Le galere all’incanto: 1329
Tra la fine del XIII e il principio del XIV secolo si registrarono notevoli innovazioni e progressi nella tecnica nautica; questi tra l’altro consentirono la vavigazione commerciale anche nei mesi invernali: Il porto di Venezia si “apriva” a primavera, ma dall’ultimo scorcio del XIII secolo fu aperto a febbraio o anche in gennaio. Verso la fine del primo quarto del XIV secolo entrò in uso la “galera grossa”, con maggiore capacità di carico; più o meno negli stessi anni si cominciarono a menzionare le cocche, grandi navi “ rotonde “ a vele quadre. La navigazione commerciale delle galere grosse, di proprietà statale, era organizzata in convogli regolari due volte all’anno con quattro destinazioni (il sistema si svilupò pienamente alla fine del XIV secolo): la Romania (Egeo, Costantinopoli, Mar Nero); Cipro e la Siria; Alessandria d’Egitto; Le Fiandre. Accanto vi era la navigazione “libera” di galere mercantili e di navi tonde, quantitativamente superiore a quella di stato. Nel 1329 il Pregadi (Senato) deliberò di mettere all’incanto le galere di stato, dandole a nolo al miglior offerente, viaggio per viaggio, su una data rotta e con vincolanti prescrizioni. L’esperimento cominciò con le galere di Romania e, vistoil buon risultato, fu esteso ad altre destinazioni. Il metodo consentiva di assicurare attività all’Arsenale, la più grande industria di stato del tempo , anche in tempo di pace.

L’acquisto di Treviso: 1339
Treviso fu la prima città della terraferma veneta su cui Venezia affermasse la propria signoria. Alle spalle della laguna si era andata ampliando minacciosa la signoria scaligera, da Verona a Padova, a Treviso e a molte altre città. Opportuna alleanze e una guerra ridimensionarono le ambizioni dei signori veronesi. A Padova fu favorita l’ascesa al potere dei Carraresi, Treviso, che era la chiave delle vie commerciali verso settentrione, fu tenuta direttamente.

La sala del Maggior Consiglio: 1340
Aumentanto il numero degli aventi diritto a sedere in Maggior Consiglio si deliberò la costruzione di una degna sede (corrispondente all’attuale parte del Palazzo Ducale prospiciente il Molo) che si protrarrà per decenni. Tra il 1365 e il 1367 il pittore padovano Guariento provvide ad affrescarvi “l’Incoronazione della Vergine o Paradiso”.

La peste: 1347-1348
La peste bubbonica che infuriava nell’esercito tartaro assediante la base commerciale di Caffa in Crimea sarebbe stata portata in Italia da una galera veneziana di ritorno da quel porto nell’autunno del 1347. La città, che aveva da poco superato le contomila persone essendo una delle più popolose città dell’Europa medievale, registrò in diciotto mesi la morte dei tre quinti degli abitanti.

La terza guerra con Genova: 1350-1355
La guerra sorse per incidenti relativi al Commercio nel Mar Nero e Venezia vi ebbe la parte di protettrice dell’impero bizantino, contro la crescente pressione genove. Nel 1350 la squadra veneziana di Marco Ruzzini attaccò un gruppo di galee genovesi nel porto di Castro presso Negroponte, ma alcun poterono sfuggire perchè gli equipaggi, in buona parte mercenari greci e dalmati (i veneziani erano stati decimati dalla peste del 1347-1348), si erano dati prematuramente al saccheggio. I veneziani si rafforzarono finanziando le flotte alleate catalane e bizantine e mossero per attaccare Pera, la base genovese presso Costantinopoli dove i genovesi avevano mandato una grossa squadra con Paganino Doria; dopo ritardi e diversioni per il mancato coordinamento delle flotte alleate, lo scontro sanguinosissimo e furioso avvenne nel Bosforo, d’inverno (1352). L’esito tattico fu incerto, per la gran quantitàdi perdite da ambo le parti, ma catalani e veneziani si ritirarono e Pera restò genovese. L’anno dopo (1353) i veneziani di Nicolò Pisani con i catalani registrarono una grande vittoria sui genovesi nelle acque di Alghero; ma poi, mentre svernavano a Portolongo, vicino a Modone, le navi veneziane furono sorprese in disarmo da Paganino Doria; lo stesso Pisani fu catturato. La vittoria navale non giovò a Genova; discordie interne seguita alla sconfitta di Alghero portarono i genovesi a darsi al signore di Milano, Giovanni Visconti, che patrocinò una pace di compromesso (1355).

Il doge decapitato: 1355
Alla sconfitta genovese di Alghero era seguito, per lotta interna di fazioni, l’assoggettamento della città ai Visconti; alla sconfitta veneziana di Portolongo seguì simmetricamente un tentativo autoritario del doge da poco eletto, il settantenne Marino Falier. Ben altro fu l’esito. Allarmati da alcune denunce, i consiglieri ducali convocarono il Consiglio dei Dieci; fra i congiurati subito catturati e condannati figura quel Filippo Calendario, appaltatore edile, che è stato ritenuto a torto l’autore del Palazzo Ducale. Scoperta la reità del doge, questi fu condannato e decapitato il 17 aprile 1355. Nella sala del Maggior Consiglio ove è dipinta la serie dei ritratti dogali, nel luogo del Falier vi è un drappo nero.

La cessione della Dalmazia: 1358
Dal tempo della proficua crociera del doge Pietro II Orseolo, tre secoli e mezzo avanti, la Dalmazia, con le sue città, i suoi porti e le sue isole, era patrimonio di Venezia. Da tempo su di essa si appuntavano le mire della corona d’Ungheria in espansione nell’entroterra slovo, e mirante, al mare. L’irrequietudine delle città dalmate, spesso ribelli al controllo veneziano, riceveva anche sollecitazione “Tutta la Schiavonia è in tumulto” : era questa la situazione di cui Venezia doveva prendere atto alla fine del 1355 dopo la trregua con Genova. Venezia aveva contro (1356) i duchi d’Austria, il patriarca d’Aquileia, il Carrarese signore di Padova e soprattutto gli ungheresi che assediavano Zara. Caduta questa città, avendo defezionato Traù e Spalato, nel giugno 1358 si arrivò alla cessione alla corona ungherese dei titoli di possesso dalmati.

La rivolta di Candia: 1363-1366
Un moto di ribellione, nato nell’elemento locale con a capo Giovanni Kalergio, fu rafforzato dalla partecipazione di gruppi di nobili veneziani stabilitisi nell’isola, fra cui dei Venier, dei Gradenigo, dei Sagredo, dei Molin. La repressione veneziana con la squadra navale e le forze militari di terra di Luchino dal Verme e del governatore Pietro Morosini piegò i rivoltosi, ma non li eliminò. Vi furono nuovi tentativi dei ribelli, riorganizzatisi fra le montagne, fino alla cattura e alla decapitazione dei capi (aprile 1366).

La guerra di Chioggia, quarta guerra con Genova: 1378-1381
La quarta guerra con Genova ebbe origine per rivalità circa la conquista dell’isola di Tenedo, potenziale base per il controllo degli stretti, ambita da veneziani e genovesi. Furono i veneziani che la occuparono (1376) e poco dopo fu la guerra. Venezia si trovò a combattere oltre che con Genova, anche con i Carraresi di Padova e il re di Ungheria; inoltre non potè contare sulla Dalmazia, ceduta nel 1358, delle cui basi e forze si valsero invece i suoi nemici. Nel 1378 la flotta veneziana con Vettor Pisani compì una crociera offensiva a occidente riportando una brillante vittoria, poi ritornò a svernare a Pola. Qui nella primavera 1379 fu attaccata dai genovesi che attirarono il Pisani in una trappola e trasformò la sua iniziale superiorità in una sconfitta. Al rientro in patria il Pisani fu imprigionato. Ricevuti rinforzi, i genovesi attaccarono le coste lagunari e, congiuntisi con i padovani presero Chioggia (16 agosto 1379). Mai Venezia era stata in maggior pericolo, e mobilitò ogni riserva. Il popolo e i marinai imposero la liberazione di Vittor Pisani “capo e padre de tutti i marinai de Veniexia”. Nella notte del 22 dicembre 1379 il vecchio doge Andrea Contarini e Vettor Pisani bloccarono chioggia, separando gli occupanti sia dai padovani sia dalla flotta genovese. Intanto un’altra squadra veneziana, con Carlo Zeno, uscita alla guerra di corsa prima della battaglia di Pola, recava gravissimi danni al commercio genovese in Tirreno, in Egeo, fino a Beirut e a Rodi. Lo Zeno ritornò in patria il primo gennaio del 1380, giusto in tempo per unirsi al blocco di Chioggia. Sei mesi dopo, fallito un tentativo di far passare dalla loro i mercenari assoldati da Venezia che li assediavano, i genovesi di Chioggia si arresero (giugno 1380) e i veneziani poterono passare al ripristino del controllo dell’Adriatico. In terra cercarono di ottenere l’alleanza di Gian Galeazzo Visconti e questo allarmò il conte di Savoia che favorì il compromesso (pace di Torino, 1381). Il trattato di pace sembrava più favorevole a Genova che a Venezia; alla lunga, per la maggior saldezza dei suoi ordinamenti, fu Venezia che emerse vincitrice dal secolare scontro con Genova. Dopo la pace, trenta nuove famiglie, tra quelle che più avevano contribuito allo sforzo bellico, furono ammesse al Maggior Consiglio.

L’occupazione di Corfù: 1386
L’isola fu occupata con il consenso della classe dirigente locale nel 1386 e ne fu acquistato poi il diritto di possesso da Carlo, pretendente alla corona di Napoli. Potentemente fortificata, Corfù divenne un’importantissima base per il controllo del basso Adriatico e restò a Venezia fino alla fine della Repubblica.

L’espansione nella terraferma veneta: 1389-1420
Venezia era una potenza marinara e mercantile; i suoi principali interessi erano i traffici e il commercio. Esattamente come nell’Adriatico e nel Levante la sua politica era volta al controllo di porti, basi ed empori, nel retroterra lagunare la sua preocupazione era quella della libertà delle via di transito, del flusso delle merci senza intralci. Finchè alle spalle del dogado non vi era che il polverio comunale, il governo veneto non ebbe necessità di dominio territoriale, ma quando nell’avanzata età signorile si vennero costituendo stati territoriali di notevole entità e animati da una dinamica espansiva, la situazione mutò radicalmente. La politica di equilibrare diplomaticamente le ambizioni delle varie signorie non poteva finire che con il coinvolgimento della Repubblica stessa nelle lotte territoriali. Alla fine Venezia diventò anche uno dei cinque grandi stati regionali del XV secolo italiano. Tre erano le entità principali dello scacchiere veneto: gli Scaligeri di Verona, i Carraresi di Padova, i Visconti di Milano e in più a oriente, le terre del patriarcato di Aquileia su cui erano da sorvegliare le ambizioni dei potenti oltralpini. Il primo passo dell’espansione in terraferma fu il recupero di Treviso, già veneziana, ceduta ai duchi d’Austria nella guerra di Chioggia per tenere lontano i Carraresi. L’alleanza veneto-viscontea del 1388 in funzione anticarrarese creò lo spazio per la dedizione di Treviso a Venezia (1389). D’altra parte i Visconti, anche se meno vicini dei Carraresi, erano i più pericolosi, specie durante il grandioso tentativo di Gian Galeazzo di unificazione dell’Italia settentriolale. La morte di questi per la peste (1402) lasciò di fronte Venezia e Francesco Novello da Carrara. Vicenza, Bassano, Belluno si diedero a Venezia (1404). La guerra portò alla conquista di Padova e Verona (1405). Francesco Novello e altri due membri della famiglia furono imprigionati e strangolati per ordine dei Dieci. Nelle terre del patriarcato era forte il casato dei Savorgnan a Udine sostenuto da Venezia, ma vi era stato anche un tentativo dei Carraresi, e Trieste era stata devoluta ai duchi d’Austria (1382). L’intervento dell’imperatore Sigismondo d’Ungheria, con cui i veneziani erano in contesa anche per la Dalmazia, provocò la campagna militre del 1418-1420. Il 16 giugno 1420 Tristano di Savorgnan entrava in Udine con il vessillo di San Marco. A quel momento Venezia possedeva un ampio stato territoriale che copriva quasi tutti gli attuali Veneto e Friuli.

Il riacquisto della Dalmazia: 1409-1420
Al principio del XV secolo i re di Ungheria erano due, l’uno Sigismondo di Lussemburgo, figlio dell’imperatore Carlo IV e dal 1411 imperatore egli stesso, detentore effettivo dello stato, l’altro Ladislao di Angiò-Durazzo re di Napoli, pretendente e in possesso della Dalmazia, conquistata con una spedizione a Zara (1403) nella lotta per ottenere il regno ungherese. Venezia riacquistò (gennaio 1409) i diritti sulla Dalmazia, ceduti nel 1358, da ladislao in difficoltà, pagando meno di un terzo di 300.000 ducati inizialmente richiesti. Ebbe da Ladislao il poco che gli era rimasto (soprattutto Zara) e si riprese il resto (Traù, Sebenico, Spalato,Cattaro,Curzola e le altre isole) combattendo contro Sigismondo (1420).

L’elezione di Francesco Foscari: 1423
“Se a voi piace” era la formula che nella cerimonia della presentazione del doge al popolo ricordava, da tempo solo formalmente, come la sovranità risiedesse nell’assemblea popolare che in antico approvava la designazione del doge. Nel 1423 tale formula fu abolita, a significare come sovrano fosse ormai solo il Maggior Consiglio e il patriziato che in esso si esprimeva. Nel 1423 fu eletto doge Francesco Foscari che succedeva a Tommaso Mocenigo il quale aveva invano ammonito a evitare che la scelta del Maggior Consiglio cadesse su tale persona (“el dicto Francesco Foscari dise busie et anche molte cose senza alcun fondamento et sora et vola più che non fa i falchoni”). Col Foscari, Venezia si impegnò a fondo nelle costose guerre contro Milano, cui il Mocenigo era contrario e nel frattempo i turchi divennero una grande potenza marittima. Così il contrasto politico tra Mocenigo e Foscari apparve incentrato sulla scelta tra la politica continentale e la politica marittima.

Salonico: 1424-1430
Dell’impero bizantino, eccetto Costantinopoli, poco restava, per il dilagare dei turchi. Fidando nella potenza marittima veneziana, la città di Salonico si diede a Venezia per esserne difesa. La Serenissima vi mandò una flotta con Pietro Loredan, che nel 1416 aveva distrutto una flotta turca a Gallipoli nel primo scontro navale di rilievo tra turchi e veneziani. Ma Salonico fu presto perduta (1430) mentre Venezia era impegnata nelle guerre d’Italia contro Milano.

Le guerre in Lombardia: 1425-1454
“ Imperhò ben ve conforto debiate pregar la onnipotentia de Dio, che ne ha inspirato a far, nel modo havemo fatto, la paxe, et così seguir et ringratiarlo. Se questo mio conseio fareti, vedereti che saremo signori di l’oro de christiani;tutto il mondo ve temerà et reverirave. Et guardeve quanto dal fuogo da tuor cose d’altri, et far guerra iniusta, perchè Dio ve destruzerave”. Così il vecchio doge Mocenigo poco prima della morte (1423), poco dopo Venezia si trovò coinvolta in trenta’anni di guerre, con lo scopo di “tuor cose d’altri” (la Lombardia) che portarono il confine veneziano all’Adda coinvolsero tutta Italia e finirono col compromesso della pace di Lodi (1454), che diede quarant’anni di pace all’Italia ma non a Venezia. Premessa delle guerre contro la signoria viscontea del duca Filippo Maria (guerrre di predominio o, se si vuole, per mantenere l’equilibrio d’Italia minacciato dall’espansione viscontea) fu la lega veneziano-fiorentina del 4 maggio 1425. Le guerre furono quattro, nella prima (1425-1426) Venezia prese Brescia con l’esercito guidato dal Carmaglola, e la flotta operante sul Po avanzò fino a Pavia; la seconda (1427-1428) vide la vittoria
Veneziana di Maclodio (4 ottobre 1427) e fini (pace di Ferrara, aprile 1428) con l’attribuzione a Venezia di Bergamo oltre a Brescia; nella terza (1431-1433) la flotta del Po fu sconfitta a Cremona; fu riportata una vittoria navale contro Genova, in quel momento in signoria al Visconte, a San Fruttuoso (27 agosto 1431) e, preocupando l’inazione del Carmagnola, in cui si sospettava l’intesa col nemico, il Consiglio dei Dieci lo chiamò per consultazioni e lo fece arrestare (marzo 1432) e processato: un mese dopo il condottiero fu decapitato fra le due colonne della Piazzetta. La pace di Ferrara (aprile 1423) lasciò le cose come stavano. Nella quarta guerra, Venezia ebbe come condottieri prima il Gattamelata, pio Francesco Sforza; il Visconti si servì di Niccolò Piccinino. Lo Sforza e il Piccinino combattevano in realtà una loro guerra personale alla quale subordinavano l’interesse delle oitenze in conflitto. Il Piccinino assediò Brescia (1438) e penetrò nel Veronese; in questa contingenza venne compiuto il famoso trasferimento per via di terra dall’Adige al Garda, con l’impiego di duemila buoi (1439), di sei galere e altro naviglio minore, che peraltro incapparono nella sconfitta. Al campo di Cavriana, lo Sforza fece quel per cui il Carmagnola aveva perso la testa: si pose come mediatore tra i belligeranti; la conseguente pace di Cremona (20 novembre 1441) non portava mutamenti territoriali. Ogni pace essendo solo una tregua e non arrivandosi a una sistemazione generale tra gli stati italiani, come avrebbe ora desiderato Venezia, si profilarono invece sostanziali mutamenti politici: l’ascesa di Francesco Sforza che passava al servizio del Visconti e ne sposava la figlia e l’orintamento fiorentino sotto Cosimo de’ Medici. Il Visconti morì nel 1447, nel maggio 1450 lo Sforza entrava trionfalmente in Milano, dopo l’effimera Repubblica ambrosiana (nel 1449 Venezia aveva acquisito Crena), e si formarono due caolizioni, Milano sforzesca con Firenze medicea da un lato, dall’altro Venezia e l’Aragona di Napoli; teatro principale della guerra ancora la Lombardia dove si scontravano Venezia e lo Sforza. La stanchezza facilitò alfine l’accordo di Lodi (maggio 1454) tra questi due contendenti, base della lega generale dei quattro belligeranti (Venezia, Milano, Firenze, Napoli) più il papa che la presiedeva.

L’avanzata dei turchi: 1463-1479
Dieci anni dopo la presa di Costantinopolio, il 3 aprile 1463 i turchi si impadronirono con un colpo di mano della piazzaforte veneziana di Argo. Ne scatur’ una lunga guerra dalla quale Venezia uscì sconfitta. All’inizio si sviluppò una controffensiva veneziana per mare e per terra con l’alleanza ungherese che non portò risultati concreti (1463-1468). Nella primavera del 1470 i turchi attaccarono in forze con la flotta e truppe di terra la base di Negroponte che, male appoggiata dalla squadra nevale dell’esitante Nicolò Canal, cadde, e con essa tutta l’Eubea. Mentre si tentava un vano negoziato, vi fu una puntata di bande turche in Friuli (1471) ripetuta nel 1477 e nel 1478. Nel frattempo Venezia riusciva a coinvolgere nella guerra lo scià di Persia e attaccava per mare la costa asiatica; i persiani però furono messi in rotta (1472-1474). La pressione turca si rivolgeva anche sul basso Adrioatico dove fu notevole la tenace difesa veneziana di Scutari. La pace (24 gennaio 1479) fu umiliante; oltre alla perdita di Argo, dell’Eubea e di Scutari, Venezia doveva accettare la clausola di un tributo annuo di 10.000 ducati. I turchi passarono ad attaccare l’Italia peninsulare sbarcarono a Otranto, ma l’insuccesso di questa impresa e la crisi interna turca, seguita alla morte di Maometto II, consentirono di tenere Zante nelle Jonie e di migliorare le clausole del trattato, abolendo il tributo, riducendo dal 5 al 4 per cento i dazi e ripristinando diritti, privilegi e franchigie del bailo veneziano a Costantinopoli.

L’acquisto di Cipro: 1473
Nel corso della disastrosa guerra con i turchi Venezia riuscì a stabilire il suo indiretto dominio sull’isola di Cipro ove vi erano forti interessi veneziani, specialmente dei Corner. Era re dell’isola Giacomo II Lusignano, che aveva sposato (1472) una Corner, Caterina. All’improvvisa morte del Lusignano (1473) vi fu contro la regina una rivolta che tendeva a dare la successione a un figlio naturale di Ferdinando di Napoli. La reazione veneziana fu immediata ed energica, il Barbaro con la squadra veneziana richiamata dall’Asia assunse la custodia dell’isola e degli interessi della vedova del Lusignano. Il regno restò in possesso di Caterina Corner (e del figlioletto Giacomo III Lusignano, morto nel 1474) sotto stretto controllo veneziano fino a che non fu costretta ad abdicare (24 febbraio 1489) cedendo l’isola alla diretta amministrazione veneziana e ricevendo la signoria di Asolo, dove tenne una brillante corte.

Il Polesine: 1484
Per combattere il re di Napoli, il papa aveva cercato l’aiuto di Venezia lasciandole mano libera contro Ferrara (1482); ma poi i successi della Serenissima lo preocuparono; altri stati intervennero a sostegno di Ferrara (Firenze e Milano); Sisto IV per fermare Venezia ricorse all’interdetto. Alla pace Venezia ottenne di conservare il conquistato Polesine (1484). L’anno dopo l’ambasciatore francese Philippe de Commines scriveva a Venezia: “E’ la città più splendida che io abbia mai visto e quella che si governa più saviamente”.

Tra terra e mare: 1495-1503
La discesa in Italia del re di Francia, Carlo VIII, alla conquista del regno di Napoli (1494), è una delle date fondamentali nella storia della penisola segnando l’inizio della crisi della libertà italiana. Venezia fu uno degli artefici della lega antifrancese, che tuttavia a Fornovo (1495) non distrusse l’esercito del re di Francia sulla via del ritorno. Venezia però occupò i porti della Puglia, importanti posizioni strategiche per ilcontrollo del basso Adriatico e dello Jonio. Qualche anno più tardi, alleata a Luigi XII contro Milano, ebbe Cremona (1499). Ma nello stesso anno si mosse il sultano ottomano che attaccò da terra Lepanto e mandò una poderosa flotta ad appoggiare dal mare l’offensiva. Alla battaglia navale di Zonchio (1499) Antonio Grimani, più uomo d’affari e diplomatico che marinaio, fu sconfitto. Vi fu un’altra volta il saccheggio turco del Friuli. Venezia preferì la pace che impegnarsi a fondo nello sforzo contro il turco e sul mare (1503), pagando con la perdita delle basi di Lepanto, Modone e Corone. Le ambizioni politiche in terraferma (sembrava fosse in gioco il predominio in Italia) prevalsero. Taluni ritengono siano stati questi anni e queste decisioni il punto cruciale del destino di Venezia.

La lega di Cambrai: 1508-1517
L’area in cui Venezia aveva intravisto possibilità di espansione tali da distrarla dall’attenzione alla potenza marittima, era la Romagna, da sottrarre al controllo del papa, venutra in crisi la signoria riminese dei Malatesta e passata la meteora del Valentino (Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro VI). Ma la potenza di Venezia in Italia, allora all’apice, le aveva procurato troppi nemici. Questi si riunirono nella lega di Cambrai (1508), ognuno voglioso di sottrarle una parte dei suoi domini (il papa, la Romagna; l’imperatore, il Friuli e il Veneto; la Spagna, i porti pugliesi; il re di Francia, Cremona; il re d’Ungheria, la Dalmazia; gli altri ognuno qualcosa). L’offensiva contro il cospicuo esercito arruolato da Venezia fu sferrata dalla Francia; ad Agnadello, nella Ghiara d’Adda (14 maggio 1509) Venezia fu sconfitta e corse il supremo pericolo. Francesi e imperiali occuparono la terraferma veneta. Venezia si salvò con l’energia e l’abilità politica. Si cedettero i porti pugliesi per accordarsi con la Spagna; si riuscì a placare il papa (Giulio II) che aveva constatato come la rovina di Venezia fosse ancor più pericolosa della sua potenza; i contadini della terraferma insorsero al grido di “ Marco, Marco”; Andrea Gritti riprese Padova (luglio 1509) e la difese con successo dall’assedio imperiale. Ci fu un rovesciamento delle alleanze (il papa e la Spagna) contro la Francia, e un ulteriore passaggio di campo di Venezia, questa volta accanto alla Francia col ricupero di Brescia e Verona. Alla fine di sette anni di rovinosa guerra si ristabilì il dominio di terraferma fino all’Adda, quale rimase fino alla fine della Repubblica.

“Grazie alla virtù e alla saggezza dei nostri avi” (1520-1530)
Il consenso e l’interesse che circondava l’assetto costituzionale della Serenissima, non solo all’interno del patriziato veneziano ma anche fra quanti in Italia e fuori meravigliano per la grandezza della città, la lunga indipendenza, la sua resistenza nella tragedia della perdita della libertà italiana, e non ultimo l’esser passata indenne dalla guerra della lega di Cambrai, trova espressione nel “De Magristratibus et Republica Venetorum” (1544) di Gasparo Contarini, politico e diplomatico veneziano, poi cardinale. Egli vede il segreto della grandezza di Venezia nella compresenza nel suo ordinamento delle tre forme di governo teorizzate da Aristotele (monarchia, oligarchia, o governo dei pochi, democrazia o governo dei molti); per lui il Maggior Consiglio rappresenta il momento “democratico”; il Senato e i Dieci quello oligarchico; il doge quello monarchico e la combinazione dei tre principi nel meccanismo costituzionale veneziano quando di più vicino alla perfezione si fosse realizzato in materia di ingegneria politica. Negli stessi anni il patrizio Marino Sanudo, uomo politico che percorse una notevole carriera e celebre diarista, lamenta la corruzione dovuta al gran numero di patrizi poveri o poverissimi; “i voti si comprano per denaro.....Dio aiuti questa povera Repubblica.....” (1530).

Prevesa: 1538
Quando la lotta per il predominio in Italia fra Francia e Spagna volse a favore di quest’ultima di cui era re l’imperatore Carlo V d’Asburgo, Venezia si trovò chiusa in una morsa tra Spagna e turchi (poi tra Asburgo d’Austria e turchi) a cui potè oppore soltanto una lunga, tenace, spesso abile difesa. In senso antiturco gli interessi di Venezia e Spagna coincidevano, ma solo parzialmente. L’aiuto navale di Venezia poteva servire alla Spagna, ma non al punto di rinforzare le posizioni in Levante che l’avrebbero resa più forte anche in Italia, dove, praticamente sola tra gli stati italiani, non era subalterna alla Spagna. Nella guerra con i turchi del 1537-1540, in cui Venezia fu alleata di Carlo V, Andrea Doria, ammiraglio dell’imperatore e comandante delle flotte collegate, aveva istruzioni che non potevano portare al successo e a Prevesa (1538) usci sconfitto, Venezia fece la pace (1540) e i turchi presero il ducato egeo dei Sanudo. Dopo Prevesa, il dominio del mare passò ai turchi.

I tre inquisitori: 1539
Una legge del 1539 istituisce, definendone le funzioni, glio Inquisitori di stato, chiamati poi in seguito anche Tribunal Supremo. Erano tre, uno chiamato popolarmente “il rosso”, scelto tra i consiglieri ducali che portavano veste scarlatta, e due provenienti dal Consiglio dei Dieci e detti “i negri”. Sorti come organo di sicurezza nel difficile momento politico in cui Venezia sentiva di essere accerchiata dagli Asburgo, assunsero gradatamente parte dei poteri spettanti ai Dieci, e si valsero, per lo spionaggio, il controspionaggio e la sorveglianza interna, di una rete di informatori o “confidenti”.

Le galere forzate: 1545
Fino al 1545 gli uomini che vogavano le galere furono liberi marinai, arruolati per denaro, veneziani in antico,poi con ampia immissione di dalmati, cretesi e greci. Le difficoltà di coprire i ruoli portarono Venezia, come già prima altre marine, a impiegare galeotti forzati, ossia rematori incatenati ai banchi: Cristoforo da Canal fu il primo veneziano a comandare una galera “forzata” (1545).

I provveditori ai beni inculti: 1556
Le finalità di questa magistratura, istituita nel 1556, erano quelle della bonifica agraria allo scopo di aumentare la superficie coltivata e stimolare gli investimenti privati nel miglioramento dell’agricoltura. In effetti il progressivo aumento del prezzo del grano, caratteristico del XVI secolo, incoraggiava lo spostamento dei capitali dalla mercatura alla terra.

La perdita di Cipro e la battaglia di Lepanto: 1571
Politicamente per Venezia si ripetè una situazione analoga a quella del tempo della battaglia della Prevesa. L’alleanza con la Spagnae il pontefice consentì di mettere insieme una grande flotta (208 galee di cui 110 veneziane), pari a quella turca, sotto il comando del fratellastro di Filippo II, don Giovanni d’Austria (Sebastiano Venier comandava i veneziani). La flotta turca aveva risalito l’Adriatico fino a Lesina, poi era tornata a Lepanto, nel golfo di Patrasso, per rifornirsi. La flotta cristiana si eraconcentrata a Messina e incontrò quella turca nelle acque di Lepanto il 7 ottobre 1571. Lepanto fu una grande vittoria veneziana e cristiana (i cincitori si spartirono 117 galere catturate) ma strategicamente Venezia non ne trasse vantaggio. Filippo II, cui interessava lo scacchiere occidentale africano-mediterraneo, non volle che la flotta SI IMPEGNASSE IN Levante. Prima di Lepanto, Famagosta, l’ultima piazzaforte di Cipro che i turchi avevano attaccato nel 1570, si era arresa e il comandante turco aveva fatto scorticare vivo il provveditore veneziano Marcantonio Bragadin. La pace del 1572 sanzionò la perdita dell’isola.

L’incendio del Palazzo Ducale: 1577
Il 20 dicembre un incendio in Palazzo Ducale distrusse le sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio. La Signoria, convocati i quindici maggiori architetti del tempo, respinse la proposta del Palladio che suggeriva un nuovo edificio nei modi del classicismo e affidò ad Antonio Da Ponte la ricostruzione, compiuta in meno di un anno. Irreparabilmente danneggiato il grande affresco del Guariento con l’incoronazione della Vergine vi venne sovrapposto l’immensa tela del “Paradiso” di Jacopo Tintoretto (1588-90).

La banca pubblica: 1587
La prima banca pubblica fu istituita dal governo veneziano nel 1587 dopo il clamoroso fallimento di una banca privata. Fu chiamata “ Banco della Piazza”. Nel 1619 fu istituita una seconda banca pubblica, il “Banco del Giro”, e nel 1638 il Banco della Piazza fu abolito. Queste banche ebbero grande importanza nel finanziamento delle guerre della Serenissima mediante l’emissione di moneta di banca.

La piazzaforte di Palmanova: 1593
A seguito della guerra con la LEGA DI Cambrai la Serenissima aveva dovuto cedere Gradisca e arretrare il confine a occidente dell’Isonzo. Poi vi erano state le incursioni dei turchi nel Friuli. Per rinsaldare la frontiera orientale contro i turchi e gli Asburgo fu quindi decisa la costruzione di una fortezza. Sorse così Palmanova, a forma di stella a nove punte, su disegno di Giulio Savorgnan, ponendosi la la prima pietra solenemente il 7 ottobre 1593, ventiduesimo anniversario di Lepanto.

L’interdetto e Paolo Sarpi: 1605-1607
Il celebre conflitto tra Venezia e la Santa Sede ha origine nell’arresto di due ecclesiastici rei di delitti comuni e in una legge che limitava l’uso e l’acquisto di beni fondiari da parte della Chiesa. Paolo V ritenne i provvedimenti contrari alla legge canonica e ne chiese la revoca e, al rifiuto, comminò l’interdetto (divieto ai sarcedoti di celebrare funzioni religiose) e la scomunicaper i governanti. La Repubblica reagì rifiutando l’interdetto e la scomunica, e imponendo agli ecclesiastici di esercitare il loro ministero. Sostenendo le ragioni della Serenissima il servita Paolo Sarpi, acuto polemista, nominato (1606) all’ufficio di teologo e canonista della Signoria. L’interdetto venne revocato dopo un anno con una formula compromissoria con la mediazione francese. Venezia essendo soddisfatta di riaffermare il principio che nessun cittadino potesse essere sottratto alla magistratura ordinaria. Il Sarpi fu poi ferito in un’aggressione nello stiletto che l’aveva colpito “lo stile della curia romana”. Al frate serviva Venezia deve anche due saggi su “Il dominio sell’Adriatico” in cui si difende la giurisdizione veneziana su quel “mare serrato e limitato, posseduto e custodito con fatiche e spese da tempo immemorabile”.

Gli uscocchi e la guerra di Gradisca: 1613-1617
“Sente tutta la casa d’Austria dispiacere e disgusto per il dominio, che giustamente gode questa Serenissima Repubblica del Golfo, et pare ad essi con le frequenti incursioni di uscocchi di venire in certo modo a turbare il quieto possesso di Venezia et la sua pacifica giurisdizione”. Così si scriveva a Venezia. Gli scocchi erano profughi cristiani della Bosnia e della Dalmazia turca che dopo la pace veneto-ottomana seguita a Lepanto furono arruolati dagli Asburgo per difendere le frontiere. Annidati a Segna, esercitavano la pirateria nell’Adriatico e Venezia temeva anche che creassero complicazioni con la Porta. Nella sua azione contro gli uscochi (1643) Venezia si trovò coinvolta in ostilità per terra con l’arciduca austriaco, loro protettore. Fu mandato un esercito contro Gradisca, terra arciducale, mentre con sovvenzioni finanziarie si aiutava il duca di Savoia che impegnava l’esercito spagnolo di Lombardia. Le operazioni militari sul confine orientale non furono risolutive, ma la pace (1617) comprese l’impegno degli Asburgo a risolvere il problema degli uscocchi, che furono fatti emigrare verso l’interno.

La guerra dell’Ossuna e la congiura del marchese di Bedmar: 1617-1618
Forse per iniziativa personale, forse appoggiato dal suo sovrano, il vicerè spagnolo di Napoli tentò con una squadra navale in Adriatico di infrangere il dominio veneziano sul Golfo. Fu affrontato militarmente con varia fortuna (1617) e si rititò dall’Adriatico. Intanto a Venezia corsero voci di sommossa e comploto e vi furono turbolenze fra i mercenari di varia nazionalità arruolati per la guerra di Gradisca. Della congiura era informato, se non ispiratore, l’ambasciatore di Spagna, marchese di Bedmar. I Dieci, informati da un capitano ugonotto, procedettero con speditezza, Tre “bravi” furono impiccati. Il Senato chiese il richiamo dell’ambasciatore spagnolo.

L’ “affare” Foscarini: 1622
Antonio Foscarini, senatore, ambasciatore in Inghilterra, venne accusato di intelligenza con potenze straniere durante l’ambasciata e di spionaggio, dopo il ritorno, a vantaggio della Spagna. Processato, assolto dalla prima accusa e condannato per la seconda, fu appeso alla forca tra le colonne della Piazzetta (1622). Pochi mesi dopo i Dieci scoprivano che il condannato era innocente e vittima di una macchinazione. La riabilitazione della vittima venne comunicata con una circolare alle concellerie europee.

La successione di Mantova e la peste: 1628-1630
Alla morte di Ferdinando Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, la successione spettava dinasticamente a un principe francese (Carlo di Gonzaga-Nevers), mutando l’assetto strategico dell’Italia settentrionale controllato dalla Spagna attraverso il Milanese. Ne seguì la guerra tra Francia, con Venezia alleata, e Asburgo, cui si univa il Savoia. L’esercito veneziano, che cercava di soccorrere Mantova assediata da soldatesche tedesche, fu sconfitto e la città fu selvaggiamente saccheggata. La pace che riconosceva Carlo di Gonzaga-Nevers duca di Mantova e del Monferrato fu fatta tra le potenze praticamente senza la partecipazione veneziana. La guerra portò la peste (1630): a Venezia in sedici mesi morirono cinquantamilapersone , un terzo della popolazione. A ringraziamento per la fine dell’epidemia fu posta la prima pietra della chiesa di Santa Maria della salute.

Il bombardamento di Valona: 1638
Una flotta corsara barbaresca, 16 galere di Algeri e Tunisi, era entrata nall’Adriatico, mentre la squadra veneziana incrociava al largo di Creta. Al suo rientro i barbareschi ripararono a Valona, piazzaforte turca: Marino Cappello, tuttavia, attaccò i barbareschi, bombardò i forti, catturò le galere corsare liberando 3600 prigionieri. Era diritto veneziano reprimere la pirateria in Adriatico, ma il bombardamento della piazza turca provocò la reazione del sultanoche arrestò il balio Alvise Contarini. La guerra fu evitata e la questione composta diplomaticamente.

L’harem del sultano: 1644
Con una scorreria i cavallieri di Malta avevano attaccato un convoglio turco in rotta tra Alessandria e Costantinopoli, catturando anche una parte dell’harem del sultano di ritorno dalla Mecca. Nel ritorno i corsari maltesi avevano fatto scalo a Creta. La pirateria cristiana in Mediterraneo non era meno attiva di quella mulsumana e Creta, veneziana, era obiettivamente una spina nelle vie di navigazione turche. La flotta che il sultano preparò per punire Malta attaccò invece la più vicina Creta. Fu l’inizio della venticinquennale guerra di Candia.

La guerra di Candia: 1645-1669
Alla metà del 1645 i turchi attaccarono i confini della Dalmazia e sbarcarono a Creta. La Canea fu costretta a capitolare il 22 agosto. Anche l’assalto contro la Dalmazia si sviluppò pesantemente, ma la padronanza veneziana del mare salvò le posizioni costiere. Il massimo sforzo turco fu compiuto contro Sebenico investita nell’agosto-settembre 1647, ma fallì e nell’anno successivo i veneziani ricuperarono alcune fortezze dell’interno come Clissa. Più grave la situazione nell’isola di Creta dove i turchi avevano attaccato la capitale Candia, che fu difesa per vent’anni. La strategia veneziana durante la lunga guerra fu quella di bloccare i Dardanelli per sorprendere la squadra turca in rotta per rifornire gli assalitori dell’isola. Vi furono gloriosi successi, ma strategicamente vani. Si segnalano due vittorie nei Dardanelli nel 1655 e nel 1656. Nella seconda di queste giornate (26 agosto 1656), ritenuta la più dura sconfitta navale turca dopo Lepanto, cadde il comandante Lorenzo Marcello. L’anno successivo, una battaglia navale di tre giorni (17-19 luglio 1657), morto il capitano generale Lazzaro Mocenigo per la caduta dell’antenna della sua galea, fu sostanzialmente una sconfitta. Dopo la fine della guerra tra Francia e Spagna (1659) Venezia ricevette dagli stati cristiani più aiuti che gli scarsi contingenti dei primi anni.Nel 1666 un rilevante sforzo di riprendere la Canea abortì. Nel 1669 un’azione combinata, dal mare del Mocenigo, da terra del contingente francese, per rompere l’assedio di Candia, fu vana. I francesi rientrarono in patria; nella piazzaforte di Candia restavano soltanto 3600 uomini validi. Francesco Morosini negoziò la resa (6 settembre 1669); veniva ceduta l’isola salvo piccole basi navali, e Venezia conservava anche le isole di Tino e Cerigo e le conquiste in Dalmazia.

La prima nave di linea: 1667
Il nerbo della forza militare navale veneziana erano sempre state le galee e le galeazze, così come il momento risolutivo della battaglia navale era, come Lepanto, l’abbordaggio. Il galeone, con le sue batterie di cannoni sulle fiancate, e il vascello di linea che ne derivò avevano rivoluzionato la tattica navale. Dopo aver noleggiato navi olandesi e inglesi e adattato a fini militari navi mercantili, Venezia fece costruire in Arsenale la prima nave di linea nel 1667, riproducendo una nave da battaglia inglese. Nel mezzo secolo seguente uscirono dagli scali dell’Arsenale 68 navi di linea.

La conquista della Morea: 1684-1699
Nel settembre del 1683 Giovanni Sobieski aveva sbaragliato i turchi che assediavano Vienna. Da quel momento la forza espansiva ottomana risultò spezzata e la storia dell’impero turco cominciò a registrare un plurisecolare arretramento. Nel 1684 Venezia si alleò all’Austria e all’alleanza più tardi si uni anche la Russia. Francesco Morosini occupò l’isola di Santa Maura e passò al ricupero dei porti greci. Tra il giugno 1685, con lo sbarco a Corone, e l’agosto 1687, con l’occupazione di Patrasso, Lepanto e Corinto, il Morosini assicurò a Venezia la penisola peloponnesiaca (nel settembre una cannonata veneziana nell’attacco di Atene fece saltare il Partenone trasformato in polveriera). Anche in Dalmazia fu ampiamente allargato il dominio veneziano. Tuttavia nel 1688 il ricupero di Negroponte fallì. Negli anni successivi i successori del Morosini, nonostante l’invio di grosse flotte nell’Egeo e alcune brillanti azioni (Metellino 1695; Andros 1697; Dardanelli 1698), non ottennero risultati duraturi. La pace di Carlowitz (1699) giovò più all’Austria e alla Russia che a Venezia che, nonostante le conquiste, non aveva ristabilito le posizioni mediterranee tolte dai turchi in due secoli.

La neutralità: 1700
In previsione di un nuovo scontro, che imminiva per la questione della successione di Spagna, le due potenze europee, Francia e Asburgo, che si combattevano in Europa da duecento anni,tentarono entrambe, con l’invio di autorevoli personaggi (1700), di avere l’alleanza attiva di Venezia. Il governo veneziano preferì la neutralità agli ipotetici vantaggi interessatamente offerti. A tale politica di neutralità la Serenissima si attenne fino alla fine, chiusa in un inevitabile tramonto, vissuto in invidiate dolcezze.

La perdita della Morea: 1714-1718
La guerra fu dichiarata dal Turco nel dicembre del 1714 quando il Peloponneso (Morea) era “spoglio di tutti quei apprestamenti, che sono tanto desiderabili anche in quei paesi, dove li soccorsi sono vicini e non devono dipendere dall’ingiuria del mare”. I turchi presero le isole di Tino ed Egina, passarono l’istmo e conquistarono Corinto. Il comandante della squadra, Daniele Dolfin, pensava fosse preferibile conservare la flotta che rischiarla per conservare la Morea. Quando infine giunse nelle acque della guerra erano cadute Nauplia, Modone, Corone e Malvasia. Furono abbandonate anche Santa Maura nelle isole Jonie e le basi ancora possedute a Creta di Spinalonga e Suda. I turchi sbarcarono infine a Corfù, ma i difensori riuscirono a ricacciarli. Nel frattempo i turchi avevano subito una grossa sconfitta a opera degli austriaci a Petervaradino (3 agosto 1716). Poco fruttuosi furono i tentativi navali veneziani in Egeo e ai Dardanelli nel 1717 e nel 1718. Con la pace di Passarowitz (21 luglio 1718) l’Austria, vincitrice, ebbe ampi acquisti territoriali, Venezia perse la Morea, non compensata da scarse acquisizioni in Albania e Dalmazia. Era stata l’ultima guerra con la Porta.

I danni della concorrenza: 1733
Scrivono i cinque savi alla mercanzia nel 1733: “Abbiamo molti porti nel Mediterraneo che danneggiano il nostro commercio”. Da Genova, rivale antichissima, e da Livorno, creazione dei granduchi di Toscana e scalo del traffico inglese nel Mediterraneo, passano le merci dirette alla Lombardia e alla Germania: ma più ancora dolgono in Adriatico, non più “golfo” veneziano, Ancona papale e Trieste asburgica, dove nel 1719 è stato istituito il porto franco. “ Ancona ci ruba ancor, oltre il residuo, che ci restava, le merci provenienti pur dal Levante e dal Ponente, quelle dell’Albania e delle altre provincie turche; Trieste quasi tutte le altre, che ci derivano dalla Germania per via del fontico dei tedeschi”. Le stesse città della terraferma occidentale fino a a Verona si approvvigionano attraverso Genova e Livorno.

I murazzi: 1744-1782
Nel 1744 si dà inizio, sulla base di un progetto del 1716 del padre Vicenzo Maria Coronelli, cosmografo della Serenissima, alla costruzione del muraglione di protezione del litorale lagunare tra
Pellestrina e Chioggia. Il solido murodi pietra d’Istria, largo quattordici metri e alto quattro e mezzo sul livello medio di marea, consta di due tratti, i murazzi di Pellestrina lunghi quattro chilometri e terminati nel 1751, e i n
Murazzi di Sottomarina lunghi milleduecento metri e terminati nel 1782. “Opera rinovante gli esempii della romana grandezza e veramente vittoriosa degli uomini, del mare e del tempo” (1777), i murazzi furono l’ultima grande opera pubblica dello stato veneto che aveva sempre speso ingegno, tenacia e denaro nella difesa della laguna.

Tribunalisti e querinisti: 17

L’avogador di Comun Angelo Maria Querini avendo “intromesso” una sentenza del Tribunale Supremo (i tre inquisitori di stato) viene arrestato per ordine degli stessi inquisitori. Per protesta il Maggior Consiglio manda deserta l’elezione per il rinnovo del Consiglio dei Dieci e si arriva alla nomina di cinque “correttori” per rivedere le leggi. Capeggiava il partito dei riformatori, i “querinisti”, Paolo Renier, cui si opponeva Marco Foscarini, capo dei “tribunalisti”, ossia dei sostenitori del potere del Tribunal Supremo. La battaglia parlamentare si concluse con il voto del 16 marzo 1762 in Maggior Consiglio che approvò due soli voti di maggioranza la mozione “conservatrice” dei correttori. Tanto Marco Foscarini, quanto Paolo Renier furono successivamente dogi.

I corsari barbareschi; Jacopo Nani a Tripoli: 1766
Grave disturbo recava al commercio veneziano di Ponente la guerra di corsa dei barbareschi della costa maghrebina, solo nominalmente dipendenti dalla Porta. Nel 1750 i savi lamentavano “ i corsari accrescono gli armamenti, le perdite si succedono incessanti, e siamo ridotti o a tenere nei porti i legni o a farli navigare con danno per le eccedenti spese di sicurtà e di equipaggio, o a perderli con disdoro della nazione”. Tra il 1716 e il 1765 iniziative diplomatiche ad Algeri, Tunisi e in Marocco portarono ad accordi il cui corrispettivo era da parte veneziana il versamento di gravose indennità annue. Vi furono però ulteriori incidenti con il bey di Tripoli e la decisione di un’azione militare affidata alla squadra di Jacopo Nani (1766), che però si risolse in una semplice dimostrazione avendo il bay, alla presenza della squadra navale, sollecitamente accolto le richieste veneziane. La benevolenza pagata dei barbareschi ebbe qualche frutto; nel 1774 i legni veneziani da 40 che erano, erano saliti a 303, poi a 405.

Tentativi di riforma: 1779-1780
“Tutto è disordine, tutto e senza regola”, esclama in Maggior Consiglio Carlo Contarini (5 dicembre 1779) illustrando un “eccitamento” che sollecitava un piano di riforme, sostenuto anche da Giorgio Pisani. Si temeva nell’iniziativa, tendente a sopprimere il monopolio del potere gestito da pochi patrizi ricchi a favore dei numerosissimi patrizi poveri, il “rovesciamento del sistema” e il doge Paolo Renier opponeva “Se c’è stato, che abbia bisogno di concordia, siamo noi, che non abbiamo forze, nè terrestri, nè marittime, nè alleanze, che viviamo a sorte, per accidente, e viviamo nella sola idea della prudenza del governo della Repubblica veneziana”. La “prudenza” fece considerare l’agitazione riformistica congiura. Gli inquisitori, con provvedimento arbitrario, confinarono il Pisani nel castello di San Felice a Verona e il Contarini nella fortezza di Cattaro.

Il lamento del “paron”: 1784
Il commercio, dice in Senato, il 29 maggio 1784, Andrea Tron detto “el paron”, per la sua influenza politica, “va cadendo nell’estremo abbandono. Dimenticate le antiche costanti massime e leggi che formarono e formerebbero uno stato di grandezza; suppedidati da forestieri sino nelle viscere della nostra città; spogliati delle nostre sostanze, non vi è tra cittadini e tra sudditi un’ombra degli antichi nostri mercanti; non vi è più la reciproca fede; mancano i capitali, non nella nazione, ma nel giro del commercio, e servono piuttosto a mantenere la mollezza, il soverchio lusso, gli oziosi spettacoli, i pretesi divertimenti ed il vizio, anzichè a sostenere e ad accrescere l’industria, ch’è la madre del buon costume, della virtù e dell’utile nazionale commercio”.

L’ultima impresa marittima: 1784-1786
Il riesplodere della pirateria dei barbareschi del bey di Tunisi a seguito di pretese di risarcimento per danni subiti da sudditi tunisini a Malta, senza colpa veneziana, spinge il governo veneto, fallito un tentativo di composizione diplomatica, a un’azione militare per mezzo di una squadra navale comandata da Angelo Emo. Bloccata Tunisi, bombardata Susa (novembre 1784 e maggio 1785) Sfax (agosto 1785) e la Goletta (settembre) e poi ancora Sfax, Susa e Biserta nel 1786, ai brillanti successi bellici non corrispondono i risultati politici, si che il Senato richiamò l’Emo e la sua squadra a Corfù. La pace con Tunisi fu ottenuta, dopo la morte dell’Emo (1 marzo 1792), per denaro aumentando il donativo al bey.

L’ultimo doge: 1789
Nel gennaio 1789 viene eletto doge Lodovico Manin, di famiglia di terraferma di recente nobiltà. Le spese per l’elezione, crescenti per tutto il ‘700, furono le più alte mai sostenute. Il patrizio Piero Gradenigo aveva commentato: “I ga fato dose un furlan, la Repubblica xe marta”. A Valence serviva il re di Francia il tenente di artiglieria Napoleone Bonaparte.

La fine: 1797
Crollato il Piemonte, battuti gli austriaci da montenotte a Lodi nella primavera del 1796, l’armata d’Italia comandata dal Bonaparte varca i confini della Serenissima, neutrale, per inseguire il nemico: “ l’armata francese passa sopra il territorio della repubblica, ma non dimenticherà che una lunga amicizia unisce le due repubbliche” (da Brescia, 29 maggio 1796). Alla fine dell’anno i francesi occupano lo stato veneto fino all’Adige; icenza, il Cadore e il Friuli sono tenuti dagli austriaci. Nella campagna dell’annmo successivo Bonaparte punta verso il territorio austriaco oltre le Alpi: neipreliminari di pace di Leoben (18 aprile 1797), i cui termini restano segreti, i domini veneziani destinati all’Austria sono il prezzo dellapace. E’ però prevista la sopravvivenza dello stato veneto limitato a Venezia e alla laguna, forse con compensazioni ai danni dello stato pontificio. Nel frattempo Bergamo e Brescia si sono ribellate a Venezia, altrove si sviluppano movimenti antifrancesi. Il Bonaparte minaccia la guerra a Venezia (9 aprile); dichiara , a Graz ai delegati veneziani: “ Non voglio più Inquisizione, non voglio Senato, sarò un Attila per lo stato veneto” (25 aprile). Domenico Pizzamano dai forti di Lido cannoneggia una nave francese che vuol forzare l’ingresso. Il primo maggio Bonaparte diochiara la guerra: i francesi sono ai margini della laguna. Anche le città del Veneto sono state “rivoluzionate” dai francesi costituendo le municipalità provvisorie. Il 12 maggio il Maggior Consiglio, presente un numero insufficiente di votanti approva (512 si, 10 no, 5 astenuti) di rimettere il potere al “sistema del proposto provvisorio rappresentativo governo”. Il 16 maggio nella sala del Maggior Consiglio si insedia la Municipalità provvisoria. Il trattato franco-austriaco di Campoformio aggrava i preliminari di Leoben; Venezia e tutti i suoi domini diventano austriaci. L’atto era stato firmato a Passariano, nella villa dell’ultimo doge (18 ottobre 1797).